Mimmo Jodice per l’inaugurazione dell’a.a. dell’Accademia di Belle Arti di Macerata

Accademia di Belle Arti di Macerata
Inaugurazione del 43esimo anno accademico
 
 
 
Macerata – Un’aula Svoboda gremita questa mattina ha accolto Mimmo Jodice, a Macerata per ricevere la laurea honoris causa e il premio Svoboda dalle mani della direttrice dell’Accademia di Belle Arti, Paola Taddei. L’occasione: l’inaugurazione del 43esimo anno accademico dell’istituzione maceratese. Una cerimonia solenne, alla presenza di tutte le autorità civili e militari. A portare il saluto della città a Jodice anche il sindaco Romano Carancini, che ha invitato l’artista a tornare quest’estate, quando la stagione lirica dello Sferisterio affronterà il tema “Mediterraneo”, lo stesso titolo di uno dei lavori che ha reso Jodice celebre a livello nazionale e internazionale. Soddisfatto il presidente di Abamc, Evio Hermas Ercoli, che per l’anno a venire annuncia «una stagione ricca, ci stiamo impegnando per trovare le risorse per sfidare la battaglia delle idee anche sul piano tecnico». Con lui la direttrice Paola Taddei, che ha ritenuto «giunto il momento per una prima valutazione. Con l’anno accademico 2015-2016 ha inizio il mio secondo mandato direttoriale, che segue un triennio molto intenso, ricco di progetti e impegni, alcuni dei quali vedranno proprio quest’anno il loro compimento – dice Taddei – Come il massiccio intervento di ristrutturazione di palazzo Galeotti e dell’annessa galleria, fatto che ci consentirà a brevissimo il trasferimento della direzione, della presidenza, degli uffici amministrativi e di alcuni dipartimenti. L’istituzione di una nuova e attrezzata biblioteca e la riapertura della galleria Gaba.Mc, con una prestigiosa mostra a beneficio della città e del territorio, dedicata al maestro Magdalo Mussio, nostro indimenticato docente. Uno spazio espositivo a cui tengo molto perché ci permetterà di promuovere e divulgare l’arte, in particolare quella contemporanea, aspirando a divenire un emblema a livello nazionale». Tra i progetti di successo Taddei ricorda anche il contest “Corti in accademia”, quest’anno giunto alla seconda edizione con la novità dell’apertura alle Accademie internazionali. «Proprio l’internazionalizzazione – prosegue Taddei – rappresenta uno dei punti di forza della nostra Accademia: nel triennio appena trascorso, c’è stato un incremento sostanziale (+50 percento) della mobilità Erasmus outgoing e incoming, docenti e studenti, oltre all’aumento esponenziale degli accordi di partnership con prestigiose istituzioni accademiche europee (a oggi sono 51), tra cui la Fine Arts University di Dublino e l’Ecole Supérieure des Beaux Arts Saint Lçuc di Bruxelles». Quest’estate prenderà invece il via un nuovo progetto di Summer School «con un ricco calendario di corsi dal fotoritocco al game design – annuncia la direttrice – per un approfondimento formativo e l’acquisizione di nuove competenze nei diversi settori dell’arte e della tecnologia». Progetti che dimostrano la crescita dell’Accademia, una crescita che sarà anche di spazio con l’inaugurazione della nuova sede a palazzo Galeotti e i lavori al primo piano dell’edificio “ex vigili urbani” di via Gramsci. Segnali positivi, che arrivano in un periodo di grande attesa «per la riforma ministeriale del nostro comparto, a cui la nostra istituzione si sta da tempo preparando, cercando di leggere l’attuale stagione transitoria delle Accademia come il passaggio verso una preziosa opportunità di rinnovamento, funzionale alle mutate esigenze della società contemporanea. L’Accademia di Belle Arti di Macerata, orgogliosa della sua natura pubblica, sta vivendo questa opportunità di rinnovamento come impulso che dall’interno si apre verso l’esterno, al territorio, puntando all’eccellenza sia per la produzione artistica, sia per la didattica e i servizi forniti agli studenti. Non a caso si posiziona, per la qualità dell’ampia offerta formativa, subito dopo le accademia storiche italiane. In questa Accademia prestano attività di docenza riconosciuti artisti, critici, designer e in generale professionisti, operativi sul territorio nazionale e internazionale, e soprattutto nell’attualità del mondo dell’arte, che offrono questa loro preziosa esperienza ai professionisti e agli artisti di domani. Proprio in quest’ottica – conclude Taddei – e secondo la nostra vocazione, è nato il Premio Svoboda al talento artistico e creativo, che oggi verrà conferito al maestro Mimmo Jodice, uno dei più grandi protagonisti della storia della fotografia italiana». Prima dell’intervento del maestro Jodice, la laudatio è stata tenuta dal direttore del museo Madre di Napoli, Andrea Villari, che ha ripercorso nel suo intervento la carriera di Jodice. Due sono le foto che Villari ha voluto ricordare in particolare, in vista anche della retrospettiva che il Madre dedicherà a Jodice nella sua città natale: le Rovine di Palmira e le Torri di New York, «un segno che in qualche modo il tempo si ripete – dice Villari – nella fotografia di Jodice la luce è un atto di consapevolezza del mondo e di responsabilità intellettuale». Commosso Mimmo Jodice per l’accoglienza ricevuta. L’artista ha dedicato le prime parole del suo intervento alla moglie Angela: «Tutte le cose che vedete io le devo a mia moglie» ha esordito Jodice tra gli applausi.
Lectio magistralis di Mimmo Jodice
 
Vorrei iniziare citando Fernando Pessoa “ma cosa stavo pensando pria di perdermi a guardare”. Questa frase sembra scritta per me e descrive bene il mio atteggiamento ricorrente: perdermi a guardare, immaginare, seguire visioni fuori dalla realtà. Questo mio bisogno di contemplare e fantasticare è in continuo conflitto con una realtà nella quale la capacità di guardare ci sfugge sempre di più e si va perdendo con essa la possibilità dell’osservazione e della riflessione. La vita intorno a noi diventa sempre più accelerata e frammentata in una miriade di immagini e segnali esasperati che riducono la nostra capacità di vedere e ci costringono in continuazione ad una visione “bassa” nel labirinto urbano. Quanti di noi riescono ad usare uno sguardo lento per capire, ricordare, emozionarsi? Quanti di noi si fermano o alzano gli occhi per ammirare una architettura? Si parla molto, e giustamente, dell’inquinamento ambientale e dell’inquinamento acustico e solo raramente ci si occupa dell’inquinamento visivo che invade ed offende la nostra vista.
La pratica della fotografia, tra le altre cose, ha sviluppato in me proprio la capacità di vedere, osservare e riflettere. Mi chiedo spesso: è stata la mia attitudine a guardare che mi ha portato alla fotografia o è stata la fotografia che ha sviluppato in me questa capacità? Le due ipotesi si intrecciano in un percorso lungo ormai più di cinquant’anni, alla ricerca di una Bellezza che appare sempre più tradita. Probabilmente, lungo questo tempo, alcune mie fotografie importanti non le ho realizzate con la mia macchina fotografica ma solo con gli occhi, imprimendole non sulla pellicola ma nella mia mente. Il mio innamoramento per la fotografia risale agli inizi degli anni Sessanta, dopo indefinite esperienze con il disegno, la pittura e la scultura. È l’incontro rivelatore che cambierà il mio pensiero, cambierà il mio lavoro e cambierà la mia vita. In quegli anni si pensava alla fotografia con molti pregiudizi, era emarginata dalle politiche culturali e confinata in quella zona oscura definita “arti minori”. Ma gli anni Sessanta furono anche gli anni della irrequietezza creativa, ricchi di fermenti e voglia di rinnovamento che coinvolgevano vecchi e nuovi linguaggi: dal teatro, all’arte, dalla poesia alla musica, alla fotografia. Dalla clandestinità dei “sottoscala” emergevano e si confermavano nuovi codici espressivi, determinando entusiasmo e grande partecipazione. È in questo clima e questo bisogno di rinnovamento che si realizzano le mie prima esperienze.
Sovvertendo il concetto che voleva la fotografia quale “specchio della realtà”, mi sono avventurato in una ricerca approfondita ed appassionata per verificare tutte le possibilità espressive di questo linguaggio, sia dal punto di vista tecnico che linguistico, costruendo negli anni una identità stilistica ed un patrimonio di esperienze sulle quali è cresciuta la mia storia. Con queste capacità acquisite ho praticato negli anni seguenti, in modo trasversale, i diversi generi della fotografia: dal ritratto all’indagine sociale, dal paesaggio urbano alla natura, all’architettura, imprimendo sempre in ogni lavoro il mio modo di vedere e le mie convinzioni.
Questi lavori sono diventati mostre e libri con una doppia progettualità: da un lato indagare la storia e lo spirito dei luoghi per darne una rappresentazione significativa e dall’altra raccontarli alla mia maniera, cercando con la trasfigurazione di mostrare la coincidenza tra realtà e visione, in una dimensione irreale e metafisica.
Mi sono spesso ispirato a guide spirituale a me molto care quali De Chirico e Sironi ed alle suggestioni surrealistiche di Magritte e Delvaux, mirando a risultati sospesi tra il silenzio e l’assenza, alla ricerca di una sorta di vuoto del mondo per testimoniare anche la mia incapacit ad accettare il caos e la follia che ci circonda.
In questi lunghi itinerari alla ricerca delle mie fotografie, mi sono spesso perduto, sia nella realtà che nell’immaginazione, ritrovandomi come per magio, in luoghi che sembravano essere lì, da sempre, ad aspettare me. Erano luoghi a me sconosciuti e che tuttavia appartenevano alla mia memoria, che mi turbavano perché coincidevano con le mie ansia e le mie inquietudini.
E mi avvio alla conclusione raccontavi una mia fotografia. Un giorno, camminando lungo una spiaggia, per fotografare il mare, un tema molto frequentato, immerso nelle mie riflessioni, mi è accaduto di vedere una comune sedia di plastica abbandonata lì, in riva al mare, rivolta in modo casuale verso l’orizzonte. Un’apparizione fisica e metafisica allo stesso tempo, in attesa di qualcosa o di qualcuno. Ho provato un’emozione profonda; quella visione poteva diventare una mia fotografia, capace di comunicare il mio stato d’animo. Come realizzare un’immagine che parlasse di queste mie sensazioni, partendo da una realtà così banale? Avevo davanti una sedie di plastica, su una spiaggia balneare e tale sarebbe apparsa in una fotografia “ordinaria”. Nell’incertezza ho ripreso il mio cammino, portandomi dentro questa visione, elaborandola mentalmente, tentando di renderne la dimensione inquietante di attesa. Sono ritornato dopo il tramonto. La spiaggia era deserta, la sedia era lì immersa in una luce crepuscolare. Il mare, acquietandosi, contribuiva al silenzio ed alla magia della scena. Non ricordo quanto a lungo sono rimasto in quest’asmosfera, non ricordo neppure come ho realizzato la fotografia; alla fine mi sono ritrovato seduto sulla spiaggia accanto alla sedia, anche io rivolto verso l’orizzonte, con lo sguardo perduto nell’infinito. Voglio concludere con una frase di Theodor Adorno che meglio di ogni altra espressione descrive il mio pensiero ed il significato del mio lavoro: “L’Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”.
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