Luca sa fari jazz

LUCA MANNUTZA Five Sounds

 
Luca Mannutza, pianoforte  Paolo Recchia, sax  Francesco Lento, tromba  Matteo Bortone, contrabbasso  Lorenzo Tucci, batteria
CottonJazzClub / C=Lounge – Ascoli Piceno  26. 2. 2016 h21,45

      Tornando dal Cotton, lungo la superstrada ripasso mentalmente il bel concerto, e i “pensieri della notte” mi si aggregano intorno ad un preciso concetto: Luca sa fari jazz. Tutto il quintetto, naturalmente. Inconfrontabili: suonano musiche “di proprietà”, tutte composte da Luca Mannutza (che infatti prima di cominciare, scambiate due affettuose chiacchiere di saluto, corre diligente a compilarsi il Borderò SIAE).

      Uno sguardo al passato ma non troppo, atmosfere “classiche”, circa anni ’60. Attualizzate, specie nella tecnica. Ma niente di inutilmente spettacolare, non gli serve: ognuno col suo bravo spartito come traccia, qualche sguardo laterale d’intesa, e imperturbabile concentrazione. Imperdibili assieme di rara precisione, quindi gli strumenti che si alternano con ordine come nelle vecchie orchestre: senza renderti prevedibile l’imprevedibile ti “accompagnano” nell’ascolto, quasi ri-equalizzando ogni volta la tua attenzione. Così non ti affatichi, rimani sulla corda, assorbi, capisci, pensi. Eh, questi sanno fare jazz.

Luca sa fari jazzLUCA MANNUTZA Five Sounds

      Lo stile di Mannutza non rassomiglia a nessuno. Sta al piano come ad una grande consolle, articola le dita con energia ed elegante nervosismo, pare che componga al momento. Invece Five Sounds è un progetto studiato nei dettagli, stratificato nel tempo, con giovani attori-musicisti di talento passione e spiccata personalità, che interpretano – rispettandola – una rigorosa “scenografia”. Equilibrio nei volumi di suono, nei fraseggi, nei silenzi e nelle pause, nei cambi di ritmo e di tempo (frequenti i 5/4, un po’ mascherati, come usava negli anni ’60/’70). Sembra quasi che si scusino per esser così bravi. Quintetto fantasioso eppure sobrio.

      Difficile ricordare ogni singolo pezzo: mica fanno motivetti. E’ l’insieme che ti si piazza in testa. Però, ah il terzultimo brano! Fascinoso e stupefacente. SAFARI. Luca stesso ci tiene a presentarlo: forse perché, penso, condensa il carattere dell’intero concerto. Non so se il nome l’abbia scelto dopo un safari – solo fotografico, certo – in Africa. Ma quell’estenuante misterioso rischioso notturno duetto-duello piano/batteria a distanza…di sicurezza, mi evoca prepotente il fitto “colloquio” tra due superbi possenti agili re della savana equatoriale, che senza aggredirsi si fronteggiano a lungo e il linguaggio di ognuno disegna nell’aria mille sfumature. Luca Mannutza quei linguaggi incomprensibili forse li ha ascoltati, li ha capiti. E scritti. Eh sì, Luca sa fari jazz.

      2. 3. 2016                           PGC     

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