Primarie, la tentazione di perdere

SERVONO REGOLE CERTE
 
 
di Tonino Armata 
 
 
San Benedetto del Tronto, 2016-03-12 – Dov’era l’anima? Questa è la vera domanda che il Partito democratico dovrebbe rivolgere a se stesso alcuni giorni dopo le primarie di Roma, Napoli, Trieste, Benevento e San Benedetto del Tronto. Capisco che è una domanda scomoda in tempi in cui quasi nessuno crede più alla metafisica dei valori e degli ideali, come se la politica fosse tutta e soltanto prassi, slogan e immagine, concretezza e fisicità da esibire e consumare sul momento: per domani si vedrà.
 
Il risultato è che il corpo del partito ha votato, anzi ha votato lo scheletro che lo tiene in piedi, l’apparato che vive di politica professionale, il suo riverbero sociale interessato, più gli irriducibili che si lamentano insoddisfatti tra un’elezione e l’altra e poi si presentano puntuali ogni volta che in città spunta un seggio qualunque, perché considerano – per fortuna – il voto un dovere civico cui non riescono a venir meno.
 
All’indomani del rito delle primarie e al netto delle polemiche più ovvie, il quesito politico è uno solo: quanta voglia ha il Pd di restare unito dietro i vincitori e di sostenerli nella campagna amministrativa? La cronaca dice che non c’è da essere ottimisti. Lungi dal ricomporre le divisioni interne, il voto le ha accentuate. E il fatto che l’affluenza sia stata così interessante (circa 7200) a San Benedetto del Tronto, la faccenda si complica maledettamente.

C’è un secondo aspetto molto più serio. La logica delle primarie prevede che dietro al vincitore si allineino gli sconfitti, ma questo accade quando esiste una certa omogeneità di fondo fra i vari contendenti. Così accade negli Stati Uniti, dove è raro che prenda forma una candidatura indipendente (quasi mai comunque per iniziativa di uno degli sconfitti nella giostra delle primarie). Viceversa da noi la tentazione di proseguire la battaglia contro il vincitore a scapito delle fortune del partito, è parecchio diffusa. Ed è possibile che prenda corpo anche stavolta, nonostante la quasi certezza di favorire gli avversari,
 
IL fatto è che esistono ormai due visioni diverse e talvolta opposte del centrosinistra. Renzi vuole scavalcare le vecchie barriere destra-sinistra e allargarsi verso i settori moderati dell’elettorato. I suoi avversari gli contestano proprio questa prospettiva e immaginano di ancorarsi a sinistra attraverso un nuovo profilo socialdemocratico, qualunque sia oggi il significato dell’espressione. Ecco allora che le primarie non finiscono mai. Anzi, un passo alla volta si va verso la separazione sostanziale fra le due anime del Pd, anche se non si tratta di una scissione: non ancora, almeno.
 
Le elezioni primarie negli Stati Uniti di America non sono certo uno scontro tra angeli, cherubini e serafini. Eppure non mi sembra che avvenga che attivisti dei vari partiti stazionino sui marciapiedi davanti ai seggi, disponibili a rifornire di moneta spicciola quei cittadini che ne sono momentaneamente sprovvisti. Alle primarie dei partiti Usa, negli stati in cui si svolgono, ci si iscrive preventivamente in quanto interessati a concorrere alle scelte concernenti i candidati di questo o quel partito. Non ci si va all’ultimo momento: si partecipa consapevoli di fare una scelta di partito e nel partito.
 
Se le primarie diventano il modo prevalente di scelta dei candidati anche in Italia, il che è avvenuto nel centro-sinistra in generale e nel Pd in particolare, bisogna che siano efficacemente regolate. Questa è ormai una necessità generale, aldilà del fatto che nel centro-destra non si siano finora affermate, o che il Movimento 5Stelle preferisca la selezione nella rete. Le primarie non possono essere in Italia obbligatorie, ma ove si decida di svolgerle, devono seguire parametri e binari certi.
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