al Cinema Margherita
Cupra Marittima –
Sole alto di Dalibor Matanic
Urge di Riccardo Rodolfi
FINE SETTIMANA
Sole alto di Dalibor Matanic
giovedì 12 maggio ore 21,30
venerdì 13 maggio ore 21,30
sabato 14 maggio ore 21,30
domenica 15 maggio ore 18,30-21,30
lunedì 16 maggio ore 21,15
Urge di Riccardo Rodolfi
sabato 14 maggio ore 18,30
domenica 15 maggio ore 16,30
martedì 17 maggio ore 21,30
Prossimamente: La pazza gioia di Paolo Virzì, Julieta di Pedro Almodóvar
Il Cinema Margherita di Cupra Marittima da giovedì 12 a martedì 17 maggio propone:
Sole alto di Dalibor Matanic, con Tihana Lazovic, Goran Markovic, Nives Ivankovic, Mira Banjac, Slavko Sobin. Il film è stato premiato al Festival di Cannes 2015 dalla Giuria della Sezione Un Certain Regard e candidato al Premio LUX dell’Unione Europea
Urge di Riccardo Rodolfi, con Alessandro Bergonzoni
Sole alto: Sole alto racconta l’amore fra un giovane croato e una giovane serba. Un amore che Matani? moltiplica per tre volte nell’arco di tre decenni consecutivi: stessi attori (Tihana Lazovi? è affiancata dal bravo Goran Markovi?) ma coppie diverse. I paesaggi sono utilizzati come orizzonti emotivi, prima ancora che geografici, e gli stessi attori come simbolo di ciclicità. I due ragazzi, invece, no: i due ragazzi non possono essere gli stessi, perché i loro vent’anni sono cristallizzati dentro una giovinezza, innocente e fragile, che ci parla (anzi: che ci deve parlare) di ieri, di oggi e, soprattutto, di domani. (www.trovacinema.it)
“Sembra appartenere ad un lontano passato il conflitto che ha insanguinato i Balcani tanto che le generazioni più giovani spesso ne sanno poco se non addirittura nulla. È a loro in particolare che si rivolge Dalibor Matanic con questo film che si inscrive, senza ombra di dubbio, nel ristretto gruppo di opere che hanno saputo cogliere nel profondo lo specifico del conflitto che tra il 1991 e il 1995 insanguinò in maniera orribile l’ex Jugoslavia ma anche, e questo è il suo straordinario pregio, le dinamiche che sono proprie di ogni guerra civile. Lo fa attraverso tre storie in cui il rapporto amoroso diviene cartina al tornasole per evidenziare la sofferenza ma anche la possibilità di una speranza che tragga origine dall’accettazione dell’altro visto come persona e non come appartenente a questa o quella etnia o a questo o quello schieramento politico.
Si potrebbe lecitamente pensare ad un archetipo narrativo classico, a un Romeo e Giulietta rivisitati nella contemporaneità ma non è così. Perche Matanic ha conosciuto sulla sua pelle la realtà che porta sullo schermo ed era pienamente consapevole del fatto che, nei Balcani, il film avrebbe potuto avere un’accoglienza contrastata perché i lutti non sono stati dimenticati e non tutte le ferite si sono rimarginate. Ma proprio perché questo film guarda oltre ha il coraggio di ricordarci, in un periodo in cui l’intolleranza sembra tornare a dominare le dinamiche mondiali, che si può guardare alla realtà in modo diverso. Lo fa con una scelta anche cinematograficamente non facile. Perché sceglie gli stessi due straordinari giovani interpreti per tutte e tre le storie costringendo lo spettatore a pensarli come diversi (con un diverso passato, con differenti modi di guardare al presente e al futuro in periodi cronologicamente ben distinti). Al contempo però ci chiede anche di pensarli ‘uguali’, uguali a milioni di ragazzi e ragazze che vivono o hanno vissuto in situazioni di conflitto in cui chi preferisce odiare pensa di semplificare la vita appiccicando ad ognuno un etichetta che lo renda immediatamente riconoscibile come amico o nemico e su questa base (e solo su questa) decidere se eliminarlo o affiancarglisi.
Matanic non ci propone un embrassons nous retorico o quantomeno utopico. Conosce il prezzo che tutti debbono pagare prima, durante e dopo un conflitto ma pensa anche che sia possibile andare oltre pur non dimenticando il passato. Per fare questo è necessario che la luce sia allo zenit, che il sole sia alto, nonostante tutte le nubi che lo possono nascondere alla vista della società e dei singoli.” (Giancarlo Zappoli – mymovies.it)
Urge: Tratto dall’omonimo successo teatrale di Bergonzoni, il film è la ripresa del monologo con cui l’attore-autore bolognese si scaglia, artisticamente e civilmente, contro le vacuità e le metastasi culturali della società di massa. Attraverso un attento lavoro di regia ne è nata un’opera unica nel percorso artistico di Bergonzoni: “Abbiamo girato uno spettacolo, senza capovolgerlo – osserva l’artista – Ma niente è per caso. È un po’ che il cinema mi scalpita addosso. Fino ad ora le mie partecipazioni sul grande schermo sono state più effimere”. Lo spettacolo, che in tre anni ha visto 280 repliche teatrali in tutta Italia, anche in Svizzera, Germania e Spagna, è un urlo contro il piccolo, l’innocuo, il semplice non-so: urge grandezza non mania di grandezza, urge fantasia. Attraverso un profondo lavoro sulla voce e sul pensiero, sulla scrittura e sul corpo, Bergonzoni fa viaggiare attraverso i suoi temi più cari – l’altro, l’oltre, il rimbalzo della norma, il gioco di specchi – e incita a fare voto di “vastità”. Ma cosa è la “vastità”? Questa è la domanda che Bergonzoni pone allo spettatore, la cui risposta si trova nell’aprirsi all’incommensurabile, all’invisibile, all’incredibile, all’onirico, per uscire da abitudini mentali indotte dalla selva di discorsi in cui tutti ci troviamo immersi. (www.trovacinema.it)
“Bergonzoni si barcamena per un’ora e quarantacinque minuti nel regalare suggestioni in un flusso di coscienza senza limiti o controindicazioni. Gioca col linguaggio comune in una continua metafora ironica, fatta di metonimie storpiate e conduttori fuori luogo – nuoce gravemente alla salute – di idee capaci di guidare il genere umano nella riflessione sulla vastità, fino alla creazione di un’iperbole verbale mai puramente retorica. I termini impiegati intesi nella loro accezione letterale vanno oltre l’utilizzo convenzionale, per dar vita a un mondo che è altro da quello reale. Un lungo monologo complicato ma mai noioso, che nel susseguirsi di voli pindarici auspica una nuova relazione con la “punteggiatura interiore” di ognuno di noi. Un film frammentario, in cui si ritorna all’etimologia della parola per decostruire la struttura stessa dell’impianto narrativo.
L’alternarsi dei punti di vista dei cinque dispositivi che seguono – ora impercettibilmente, ora con l’immagine sporca della camera a mano – l’andare e venire dinamico del comico, esalta un montaggio che richiama le sinuose curve verbali del testo. L’impianto registico si erge a oratore, al fianco di Bergonzoni, di un monologo assurdo, in cui i richiami al gergo comune fanno pensare ad un finale della frase scontato, già sentito. Non proprio. Quello che all’apparenza inizia come un sogno dell’attore, scorre come un fiume in piena nella mente di chi cerca di aggrapparsi ad un’immagine ma viene immediatamente rimandato alla successiva. In un via vai ludico di metalinguaggi, dal teatro al cinema, passando per la televisione, si arriva a chiedersi perché un gruppo di animali con un gommone non sia mai stato eretto a protagonista di una sceneggiatura.
L’impeto dell’approccio al testo coinvolge nella ricerca di un significato che vada oltre le vacuità, al di là della costruzione sintattica – anche se la costruzione sintattica risulta fondamentale – per riuscire a comprendere la critica lucida di una società ovattata, rimessa a concetti vuoti. La forma mentis del teatro dell’assurdo è accettata in una sorta di sospensione dell’incredulità, in cui allo spaesamento iniziale si sostituisce una nuova consapevolezza delle possibilità dialettiche del linguaggio. Ecco quindi che il dormiente diviene pensatore silenzioso e i “doveri” si radicalizzano in una sorta di accusa all’apatia: “dov’eri quando sventravano i concetti? e dov’eri quando svuotavano le parole?”.
L’alternarsi di inquadrature strette sul protagonista, anche se a tratti rischia di alienare dal contesto teatrale per avvicinarsi a quello cinematografico, esalta la ricchezza del parlato e contribuisce al ritmo martellante dello spettacolo. Il fondo nero, d’altronde, eleva il protagonista ad un piano quasi ideale, che poco si sposa con l’idea di cinema dettata dal montaggio.
La padronanza del palco di Bergonzoni è valorizzata oltre che dai piani larghi, che concedono allo spettatore la visione totale e quindi la percezione delle movenze dell’attore, dai movimenti di camera a mano, che si avventurano sul palco seguendolo attraverso la scenografia spartana. In un crescendo di recitazione che si fa man mano più tangibile, egli effettua un richiamo alla realtà ben lontano dal “pallino delle bocce” del principio, arrivando ad una costruzione linguistica definita, tradotta in vera e propria resa attoriale di dialogo tra le parti – poco importa che queste siano un cormorano chiuso in un termosifone, e il detentore della parola chiave in grado di liberarlo.
Uno spettacolo URGEnte, necessario, che si conclude lì dov’era iniziato, sul proscenio, con l’uomo vestito di nero che raccoglie il cappello e sparisce dietro le pieghe del sipario chiuso.“ (Olivia Fanfani – mymovies.it)
Anche per la stagione 2015-2016 il Cinema Margherita propone la Tessera Acec Marche. La tessera costa € 5, permette di avere 5 ingressi ridotti, più uno in omaggio, ed è utilizzabile in tutte le Sale Acec Marche.
Ingressi: € 6,50 interi, € 5,00 ridotti
Ingresso universitari: € 4,00
Ingresso Frammenti di festival € 5,00 ingresso unico
Cinema Margherita
Via Cavour, 23
63064 Cupra Marittima (AP)
Telefono: 0735 778983 / 340 7322062
Fax: 0735 777118
Email: info@cinemamargherita.com
© 2016, Press Too srl . Riproduzione riservata