“Girl In A Band”, l’autobiografia di Kim Gordon dei Sonic Youth

Intervista alla traduttrice Tiziana Lo Porto.
 
Prima che fondatrice, bassista e cantante dei Sonic Youth, una delle poche band degli ultimi lustri che ha realmente ridefinito la grammatica del rock, Kim Gordon è un simbolo. Di coraggio, integrità artistica, femminilità e stile. Per trent’anni è stata anche, con l’ex marito e cofondatore della band Thurston Moore, la prova vivente che fosse possibile avere un matrimonio felice nell’alienante e caotico mondo della musica.
Nel 2011, però, Thurston e Kim scoprirono di non essere immuni dai più prevedibili e usuali disastri privati e sul loro sodalizio artistico e sentimentale comparvero i titoli di coda. Fu allora, nel momento peggiore della sua vita, che Kim decise di scrivere la sua autobiografia, appena pubblicata in Italia da minimum fax (pagine 306; € 18). “Girl In A Band” ha poco a che fare con i libri di rockstar a cui siamo abituati, è un memoir scritto con una lingua urgente e non negoziabile, quella di chi non ha nulla da perdere e nascondere. Un memoir politicamente scorretto e intenzionalmente estremo. Niente di meno di ciò che ci si aspettava da un’icona alternativa come Kim.
Abbiamo intervistato la traduttrice del libro, Tiziana Lo Porto, che ha tradotto, tra gli altri, Charles Bukowski, James Franco e Jim Carroll.
 
Quali sono state le principali difficoltà incontrate nella traduzione di “Girl In A Band”?
Trovare la voce di Kim Gordon. A guardarla dall’esterno sembra sempre così austera e distaccata. Poi leggendo il libro ti accorgi che è piena di qualità altre, incluse le fragilità che ci definiscono come persone. La voce narrante del libro ha un peso emotivo, trovare quel peso non è stato difficile, ma ha richiesto un po’ di tempo e molte riletture ad alta voce.
Qual è stato, invece, il bello di questa traduzione?
Potere passare del tempo dentro la testa di Kim Gordon.
Che rapporto avevi con i dischi dei Sonic Youth prima di “incontrare” Kim Gordon e la sua autobiografia? Eri una fan? Ricordi il tuo primo contatto con la loro musica?
Ero una fan, certo, ma non ricordo come li ho scoperti. All’epoca (erano gli anni novanta) ascoltavo (e ancora ascolto) sempre musica. Erano gli anni del grunge e dai Nirvana sono passata ad ascoltare i Sonic Youth. Li preferivo. Erano, sono più in sintonia con me.
Come è cambiato il rapporto con i loro dischi dopo tale incontro?
Continuo ad amare e ascoltare i dischi dei Sonic Youth.
Un disco dei Sonic Youth a cui sei particolarmente legata?
“Murray Street”. Ma senza alcuna ragione sentimentale. Solo mi piace quel disco più degli altri.
Ogni rock band si regge su equilibri fragilissimi e dinamiche che dall’esterno non è mai possibile comprendere appieno. In quella strana democrazia che teneva uniti i Sonic Youth, qual era il ruolo e il peso specifico di Kim?
Il ruolo lo sappiamo, bassista e cantante, e il peso specifico se ascolti i dischi te ne accorgi, lo senti (sentire proprio nel senso di ascoltare – una caratteristica dei Sonic Youth è che ogni suono dei loro dischi ha un peso specifico, e di conseguenza ogni membro della band). Come dici tu, i Sonic Youth erano una strana democrazia, in cui nessuno era indispensabile in assoluto ma tutti erano necessari a creare quell’equilibrio lì, in quei determinati dischi, in quelle canzoni, nei live che facevano, nel tempo presente che hanno vissuto come band.
La storia dei Sonic Youth è anche la storia del matrimonio tra Kim e Thurston…
Essere sposati e lavorare insieme non dev’essere facile. Dall’esterno sembravano la coppia ideale, immagino però quanto impegnativo possa essere stato. Le coppie di artisti riescono a creare insieme cose meravigliose (come in questo caso), poi a un certo punto è quasi inevitabile attraversare le crisi (o rompersi del tutto come in questo caso).
Nel 2011 ci fu un comunicato che annunciava la fine del matrimonio tra Kim e Thurston e in un colpo solo ebbero fine anche la storia della band e il mito di quella che nell’immaginario del rock indipendente era sempre stata considerata una coppia speciale. Il fatto di aver raccontato la propria vita subito dopo questi eventi credi abbia dato all’autobiografia toni più scuri di quelli che avrebbe meritato?
Se non fossero finiti matrimonio e band non avrebbe scritto il libro. Facile così. Il libro è un tentativo (anche sano) di ritrovare la persona che era l’attimo prima di conoscere Thurston, e credo sia un desiderio lecito per chi ha vissuto un grande amore e si ritrova a dovere modificare la propria mappa emotiva.
Kim sembra avere un bel talento come narratrice. La sua scrittura è sicuramente più pregiata di quella di moltissimi altri musicisti che hanno pubblicato libri.
Sì, ci sono musicisti che hanno scritto ottimi memoir, e altri che sono meno bravi.
Che contatti hai avuto con lei?
Durante la traduzione nessuno. Anni fa dopo un concerto l’ho incrociata nei camerini di un locale di Roma, e mi ha regalato un paio di scarpe (le stavo grandi e le dispiaceva mollarle lì).
 
© 2016, Press Too srl . Riproduzione riservata