I bambini non piangono
MOSTRA
“Popoli alla deriva – Parole e immagini di un dramma”
Impegno di Emergency nei territori in guerra
Treviso, Palazzo dei Trecento
20 – 28 Aprile 2016
“Quando arrivano nei nostri ospedali i bambini non piangono. Sono traumatizzati e atterriti. Piangono dopo, nei giorni e nei mesi successivi”. E’ la realtà di ogni giorno per chi opera in territori di guerra in difesa della vita umana: come Paola Carmignola, infermiera professionale e coordinatrice regionale di Emergency. La presentazione dei contenuti della bella Mostra ospitata a Treviso, Palazzo dei Trecento, dipana attraverso la sua voce pacata e ferma un largo sudario di cifre, statistiche, dati oggettivi che agghiacciano mentre si materializzano nella fotografia di carni martoriate, dilaniate, amputate.
“La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra”: così Gino Strada nel ricevere il Right Livelihood Award 2015 (il “premio Nobel alternativo”). In Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina, Europa, nei teatri di guerra in cui la realtà di Emergency agisce da oltre 20 anni, due dati ricorrono con terribile costanza: il 90% delle vittime sono civili, e altissima è sempre la percentuale di bambini. Vittime dei bombardamenti, delle mine antiuomo (fabbricate e vendute nel Kurdistan Siriano dall’italiana Valsella), delle mine-giocattolo che raccolte con curiosità dai bambini non uccidono ma mutilano, bruciano, accecano; vittime, anche, cui la guerra nega l’accesso alle cure, all’istruzione, al lavoro.
Sono i civili, sempre, a pagare il prezzo più alto, tragedia sociale di cui la Siria odierna è emblematica, con i suoi 4,5 milioni di profughi, i circa 400.000 morti e una popolazione diminuita del 25% dall’inizio del conflitto nel 2011.
I bambini non piangono
E tragedia umanitaria, di cui le migrazioni sono l’aspetto per noi più appariscente: migrazioni che se sono “antiche quanto l’umanità”, solo raramente sono mosse da sete d’avventura o di conoscenza, quasi sempre invece “da guerre, occupazioni, carestie, persecuzioni religiose e politiche, catastrofi naturali e ambientali”.
La mostra ne ricostruisce intelligente i percorsi, dalla storia più antica ad oggi, da oriente a occidente. Statistiche e numeri da capogiro, suddivisi per aree geografiche, popolazioni coinvolte, fasi storiche: fra queste ultime, è il secolo successivo alla guerra di Crimea – l’arco temporale 1853-1955, “L’età delle migrazioni forzate” – quello segnato dai più imponenti spostamenti di popoli fra Europa e Anatolia (circa 30 milioni di persone), vera “chirurgia demografica” volta a identificare e rimuovere categorie di popolazione secondo criteri di volta in volta sociali o culturali o linguistici o religiosi.
Il secolo scorso – “il secolo breve” dei due conflitti mondiali – vicino a concludersi si affaccia già, con la prima guerra del Golfo (1990), sulla ferocia del Terzo Millennio, dove le guerre saranno solo di religione perché la religione sarà una sola e si chiamerà petrolio.
In questo inizio di millennio – sono ancora parole di Gino Strada – in cui non vi sono diritti per tutti ma privilegi per pochi, i diritti sanciti quasi 70 anni fa nella Dichiarazione Universale sono calpestati da quei medesimi Stati che li hanno sottoscritti, e le guerre costituiscono ancora la più “aberrante, diffusa e costate violazione dei diritti umani”.
Le migrazioni attuali che ne sono conseguenza chiamano in causa il mondo intero, che siano fuga da guerre o che si chiamino “economiche”: esportazione di modelli di vita e di “democrazia” occidentali, guerre umanitarie (sic), interessi inconfessabili occultati dietro motivazioni religiose o etniche, sono all’origine di diaspore di proporzioni bibliche… così come gli sconvolgimenti e i disastri ambientali generati dal furto di risorse – terreni fertili, colture, acqua, risorse minerarie ed energetiche – da parte di multinazionali “dietro le quali, come loro gendarmi armati, vi sono di frequente le potenze ex coloniali”.
A queste emergenze umanitarie il nostro sguardo si rivolge con fastidio, preoccupazione,, paura: linfa per logiche politiche di esclusione e di chiusura. Benché dei 19,5 milioni di rifugiati nel mondo, i 9/10 non arrivino in Europa o USA ma siano ospitati in paesi non sviluppati (dove ai profughi si aggiungono gli sfollati interni), è contro queste “emergenze” che un’Europa immatura e sconfitta innalza muri: materiali, psicologici, politici. Un’Europa incapace di riconoscere le proprie colpe; che contratta accordi sui migranti – come merci – con paesi come la Turchia (!); che chiude rotte marittime e terrestri; che respinge i profughi in campi di prigionia; che premia elettoralmente in ogni dove le politiche dei leghismi, delle xenofobie e dei nazismi di ritorno. Un’Europa – se non la si cambia subito – utile solo agli affari e inutile, anzi dannosa, per tutto il resto. Un’Europa retriva e pavida che reagisce con ottusa violenza alle ragioni degli “altri”.
7 maggio 2016 Sara Di Giuseppe
I bambini non piangono
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