Canne
140a Olimpiade, anno 4°, estate
Mentre aprivo gli occhi – come sempre alla metà della vigilia quarta – stamani mi sentivo strano o, per dir meglio, era strano come mi sentissi; forse perché, ieri, era piovuto tutto il giorno e s’era abbassata anche la temperatura ma adesso, col sole ancora nascosto a spingere la luce di un’alba superba, adesso avevo, più che il presagio, la certezza di una giornata rovente, d’un’insopportabile umidità, della battaglia, di un’ecatombe…
Ma tant’è, qui ero, in Daunia: schinieri-corazza-elmo sulla pelle e, già in gola, il discorso da gridare ai legionari, assolutamente stringato perché, col cavallo al passo lungo l’immenso schieramento, molti potessero cogliere almeno una frase finita.
Da poco ero stato eletto Generale assieme a Gaio e, contemporaneamente, i Dittatori avevano lasciato il comando: avevo ritenuto corretto, allora, nominare subito proconsoli al comando delle truppe sia Gneo che Marco, consoli l’anno precedente, per dedicarmi personalmente all’arruolamento urgente dell’organico mancante nelle legioni e, altrettanto corretto, raccomandare a Gneo di soprassedere da qualsiasi scontro allargato con il nemico: solo contatti, pur pregnanti ma brevissimi, tanto da addestrare le reclute.
Lo sapevo, beninteso, è su di me, Emilio, che tutta Roma riponeva le speranze tanto che mi è stata concessa l’incredibile facoltà di muovere con otto legioni contemporaneamente (non le consuete quattro) e avevo ordinato a Gneo di accamparle fronte al nemico: là sono rimaste per l’intero inverno e tutta la primavera.
Poi, improvvisamente, Lui è uscito con tutto l’esercito da Gerunio e, troppo veloce per Zeus!, ha occupato quella rocca, là a Canne, che domina il territorio dove avevo fatto stipare il grano mietuto intorno a Canusio… In fretta ero dunque partito da Roma a raggiungere i miei quarantaduemila legionari a cui si erano già aggregati i quarantaseimila fra fanti e cavalieri alleati: soldati ormai addestrati bene, non come quelli sul Trebbia o in Tirrenia.
Ed era proprio questo quello avrei urlato agli uomini: non c’è più alcun motivo per pensare di non vincerlo! E qui ci riuscirete, uomini, tutti e quattro i vostri comandanti presenti fra voi : io, Lucio Emilio; e Gaio Terenzio; e Gneo Servilio; e Marco Regolo! Pronti, tutti insieme, a combattere per la patria, per le mogli e i figli, per un futuro fulgido contro il presente carico di pericoli, per la vittoria…poi, affidandomi a Minerva, li avrei congedati…
Ci eravamo mossi, in soli tre giorni – caldo e umidità sempre incombenti – eravamo già a meno di cinquanta stadi dai nemici ma avevo avuto un diverbio con Gaio perchè, nel suo giorno di comando assoluto, aveva ridotto ancora la distanza tanto da subire un attacco della fanteria leggera e della cavalleria cartaginese con Lui stesso alla testa, tanto da dover far intervenire fino a notte parte della nostra fanteria pesante sostenuta da cavalieri e lanciatori di giavellotto.
Il giorno dopo, col comando passato a me, avevo fatto porre l’accampamento presso il fiume Aufido per favorire i foraggiamenti che arrivavano dall’altra parte del corso d’acqua.
In quel frangente ero stato avvertito dalle spie che Lui stava già arringando l’esercito dicendo ch’era giunta la vigilia della battaglia definitiva che Roma e l’Italia intera sarebbero capitolate: preparatevi, diceva ai suoi.
Subito avevo fatto rinforzare l’accampamento ma Lui aveva lanciato i Numidi a cavallo a bloccarci i rifornimenti d’acqua: è stato allora che ho schierato le legioni e ho urlato quello che avevo da dire…il tempo era concluso!
Immaginavo l’angoscia che permeava Roma, i voti e i sacrifici, gli oracoli, le donne piangenti che pulivano i pavimenti dei templi coi capelli…e le critiche malevole di quel ciarlatano a nome Gryllus che prima faceva l’attore comico e non gli serviva il mascherone avendone già l’identica espressione al naturale …e i sarcasmi di quell’altro tetro opinionista paritetici al suo nome, Poena…
Ma intanto, Lui si era mosso con i cavalieri Iberi e quelli Celti e anche con i Libici accanto ai Numidi sull’ala destra: ho ancora negli occhi il fronte cartaginese, come una linea convessa, a mezzaluna, e le spade celtiche con l’offesa solo al taglio, quelle iberiche anche alla punta; e i Celti nudi; e gli Iberi con una tunichetta di lino bordata di porpora: almeno cinquantamila, schierati e volti a settentrione, il sole non li avrebbe danneggiati. Facevano paura.
Avevo rivolto le Legioni a meridione per fronteggiarlo e, l’indomani all’alba, oggi, avrei anch’io comandato l’attacco…
Adesso che, come Gneo e Marco, sto a terra morente e tutt’intorno, per miglia, è solo morte, lascio queste parole ad un fante sconosciuto che mi sorregge il capo: Zeus onnipotente, tutto è perduto!
Lo scontro fra le fanterie leggere è stato in equilibrio fino a quando i cavalieri Celti e Iberi non sono intervenuti e combattuto, con tecnica inusuale , senza proporsi con i conosciuti attacchi e veloci ritirate ma scendendo da cavallo subito dopo l’impatto e combattendo come fanti…
Mentre noi sfondavamo al centro della mezzaluna, Lui ci accerchiava sui fianchi…
Mentre noi inseguivamo al centro i Celti , soccombevamo sui Libici che arrivavano dalle ali e ci scombinavano la formazione e ci dividevano in manipoli e ci uccidevano…
Ho visto Gaio fuggire verso Venosa ….
Oggi …
Francucciovostro
Discendente del Legionario sopravvissuto, Santomartire 2 agosto 2016 (2232esimo anniversario della Battaglia)
Libero adattamento da Polibio, Storie, III-107
Era A.C. 216, 2 agosto
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