Tocco di stecca, bluff di sguardo

 
di FDA

Dovete sapere che Anton Maria Palaschi era un giovane serio. Infatti, non rideva mai. Sul viso allungato e perfettamente sbarbato, ad eccezione di baffi rifilati e di un pizzetto mefistofelico, risaltavano il naso aquilino e soprattutto i chiarissimi occhi di un’espressione glaciale, imbarazzante per chi gli stava a fronte. Era longilineo e magro, aveva mani diafane, ossute, con dita molto lunghe, curatissime. Usava esprimersi solo a monosillabi tonici e atoni, esternando pochissimi fra prestiti e sigle , nomi e aggettivi, avverbi e verbi ausiliari o modali, preposizioni e articoli, pronomi e congiunzioni, negazioni e affermazioni.
Era un ottimo giocatore ambidestro di Carambola a una o tre sponde, d’ Italiana a cinque birilli, di Goriziana a nove birilli. Eccezionale, di poker.
Da lui ho appreso i rudimenti e più d’una raffinatezza del biliardo a stecca mentre ho sempre avuto l’ idiosincrasia per le carte: con Anton Maria ci siamo ormai persi di vista da oltre cinquant’anni ma, per quindici mesi di servizio militare, fummo amici veri. Ci integravamo; lui schivo, io socievole; lui muto, io ciarliero; lui ‘amministrativo’, io ‘commerciale’.
Quando al congedo mancavano sei mesi e ci nominarono sottotenenti, assieme fummo richiamati nella medesima Scuola Militare per fare da istruttori agli allievi ufficiali di nuova leva. Così, dopo qualche giorno di licenza, ci ritrovammo nella stessa stazione ferroviaria di cambio, ognuno proveniente dalla propria repubblica marinara, lui da Genova, io da Venezia. Ma non risalimmo su alcun altro treno perché nell’attesa della coincidenza comprammo uno dei taxi parcheggiati fuori la stazione, un Fiat 1400 B bicolore (trattai io , c’era da parlare). Giunti alla Scuola, affittammo una villetta in Paese per evitare i pernottamenti in caserma ma soprattutto per la privacy di cui – ventenni – avremmo potuto aver singolarmente bisogno…
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In Paese, tutte le sere che Dio mandava in terra, giocavamo. D’azzardo s’intende: quasi sempre in coppia al biliardo, in un bar fornito di una splendida sala; lui da solo (con me spettatore) a poker, nella villetta.
Il nostro accordo era che dei proventi e delle perdite ne beneficiassimo o ne fossimo penalizzati entrambi nella misura del sessanta percento lui e quaranta percento io. La maggioranza degli ufficiali della caserma aveva il vizio cronico: la nostra fama di ottime stecche e quella sua di eccezionale pokerista circolò in un baleno tanto da non poter esimerci dall’accettare sfide lanciate continuativamente da più alti in grado.
La cosa assunse in breve tempo aspetti incredibili e per il numero delle ‘partitine’ serali a biliardo e per gli impegnativi tour de force notturni a poker ma, particolarmente, per il livello dei nostri introiti economici: quelli mensili assurgevano, dal solo biliardo, a cinque volte lo stipendio da ufficiali e, dalle carte, ben di più. A meno di due mesi al congedo, preventivai ad Anton Maria la proiezione dei profitti globali alla fine della naia: “ saremo ricchi” risi e lui rispose con un monosillabico OK della mano; “potremmo raffermarci! un paio d‘anni?” proposi ma rispose col monosillabico NO della testa; “perché?” gli chiesi e lui, derogando dai monosillabi, disse “Cinzia” (e lo sguardo di ghiaccio gli si sciolse leggermente).
Purtroppo, di lì a qualche giorno, successe un imprevisto di cui magari parlerò in un altro dei miei raccontini: sta di fatto che il Comandante la Scuola – un colonnello dall’aspetto terribile – comminò ad Anton Maria una sanzione disciplinare pesantissima, trenta giorni di “arresti di rigore” (che, peraltro, avrebbero decurtato di pari tempo l’anzianità di servizio). Niente più villetta per lui : ventiquattro ore su ventiquattro in caserma, chiuso dal di fuori in una stanza con le sbarre alla finestra , arredata con una branda rugginosa, una sedia metallica, un lavabo e un armadietto. Due lunch brevi al dì senza vino, un caffè al mattino. Obbligatoria lettura del Vangelo e del Regolamento di Caserma ( unici scritti nella stanza). Uso del letto solo dalle ore ventuno alle cinque successive e, escluse armi e cinturone, vestiario militare d’addestramento sempre indossato, dal cappello agli anfibi senza stringhe. Tre colpi da dentro sulla porta per l’uso del WC posto nel corridoio esterno dove stazionava una sentinella. Fottuto! Fottuti.
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Quando lo rinchiusero era pomeriggio e passò una notte agitata. Con il caffè del mattino portato dalla sentinella, entrò nella stanza anche il ‘capitano d’ispezione’ che , ricevuto il saluto con sbatter di tacchi da Anton Maria, disse (appoggiandolo ad una parete) “lascio qui momentaneamente questo pieghevole”.
Il capitano era il più assiduo pokerista frequentatore della villetta, il pieghevole era un tavolino con piano di panno verde e cassettino pieno di fiches, le sentinelle di guardia in turno facevano parte degli effettivi sotto il mio comando e avevano difetti alla vista e all’udito.
Ripristinai l’uso della mia stanza in caserma, per star vicino ad Anton Maria nella dolorosa prigionia.
In due, tre giorni, il giro di poker della villetta si ricostituì nella prigione: ampliato, perché investiva tutto l’arco giornaliero suddiviso in quattro turni, diurno- pomeridiano- serale- notturno. In ogni turno, arrivavano almeno tre turnisti a visitare il prigioniero e, mentre gli dicevano “la tua è stata mancanza grave!” oppure “meritavi un più lungo arresto” oppure “ ti degraderanno”, sedevano attorno al tavolo pieghevole sulle sedie da campo che si erano portate appresso e uno cominciava a smazzare. Io servivo il beveraggio più appropriato all’ora, dall’aperitivo al liquore. Certo, ci mancava tanto il biliardo.
Solo la domenica non si giocava nei turni serale e notturno: la caserma deserta, il capitano concedeva ai parenti giunti da Genova un’ora di visita al prigioniero. La mamma, la zia, la sorella di Anton Maria erano biondissime, sui venticinque e avevano tutte il vezzo familiare del tacco chilometrico.
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Quando Palaschi uscì, a me restava una settimana al congedo, a lui trenta giorni in più: ma il Colonnello Comandante concesse ad ambedue pari tempi di licenza: a lui perché gli aveva comminato un massimo di punizione di cui provava rimorso , a me perché, in quel periodo, mi ero sobbarcato tutti i servizi di caserma che spettavano ad Anton Maria, dal Picchetto all’Acquisto-viveri, dalla Guardia-polveriera alla Guardia-scuderie. Ma restammo ancora tre settimane nella villetta per concedere doverose rivincite ai perdenti : un pieno d’attività sia a biliardo che a Poker viste le turnazioni massimizzate in caserma.
Quando ce ne andammo dal Paese, un bel giorno, avevamo in tasca tanti soldi, credete. Avevamo venduto anche la Fiat 1400 B a uno dei nuovi sottotenenti-istruttori arrivati a sostituirci: era piaciuta la modifica del divano posteriore della vettura che ora presentava la spalliera asportabile e una seduta che si protraeva nel capiente bagagliaio tanto da formare un’alcova di tutto rispetto.
“Cerchiamo di non perderci di vista!” mormorai al mio amico mentre gli stringevo la mano. “No” rispose monosillabico ma non capii se intendesse se l’avremmo cercato o se non.
Però gli occhi, Anton Maria Palaschi, li aveva umidi.

Francucciovostro, Santomartire del Tronto 17 ottobre 2016
Nota d’autore : Il racconto, di pura fantasia, non si rifà -neppur parzialmente- ad alcun avvenimento reale.
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