al Cinema Margherita
Cupra Marittima –
Oceania di J. Musker, R. Clements, D. Hall, C. Williams
È solo la fine del mondo di Xavier Dolan
Poveri ma Ricchi di Fausto Brizzi
Lion – La strada verso casa di Garth Davis
FINE SETTIMANA
Oceania J. Musker, R. Clements, D. Hall, C. Williams – Ingresso: 5 € PER TUTTI
giovedì 5 gennaio ore 18,30
venerdì 6 gennaio ore 15,00-21,15
sabato 7 gennaio ore 18,30
domenica 8 gennaio ore 16,30
È solo la fine del mondo di Xavier Dolan – Gran Premio della Giuria a Cannes 2016
giovedì 5 gennaio ore 21,15
venerdì 6 gennaio ore 17,00
domenica 8 gennaio ore 21,15
lunedì 9 gennaio ore 21,15
Poveri ma Ricchi di Fausto Brizzi
venerdì 6 gennaio ore 19,00
sabato 7 gennaio ore 20,30-22,30
domenica 8 gennaio ore 18,30
Lion – La strada verso casa di Garth Davis
martedì 10 gennaio ore 21,15
mercoledi 11 gennaio ore 21,15
ATTENZIONE: il 6 gennaio è il termine ultimo per l’acquisto della Christmas Card, 10 ingressi, tutti i giorni per tutti i film. Utilizzabile per un massimo di due persone.
Ricevi la programmazione su Whatsapp registra il numero 3917156986 sulla tua rubrica e invia ‘ok ‘ (il tuo numero non sarà visibile se non a noi)
Il Cinema Margherita di Cupra Marittima da giovedì 5 a mercoledì 11 gennaio propone:
Oceania J. Musker, R. Clements, D. Hall, C. Williams. Il film è candidato a due Golden Globe 2017.
È solo la fine del mondo di Xavier Dolan, con Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Marion Cotillard. Il film ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes 2016
Poveri ma Ricchi di Fausto Brizzi, con Christian De Sica, Enrico Brignano, Lucia Ocone, Lodovica Comello, Anna Mazzamauro.
Lion – La strada verso casa di Garth Davis, con Dev Patel, Rooney Mara, Nicole Kidman, David Wenham, Nawazuddin Siddiqui. Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival 2016,
Oceania ha grandi occhi, un’attitudine al prossimo e un’attrazione per il mare che non sfuggono agli dei. Radiosa e felice cresce sotto l’ala protettiva del padre, capo del villaggio, e lo sguardo immaginifico della nonna che favorisce la sua inclinazione al viaggio rivelandole un segreto: i Maori sono stati grandi marinai. Viaggiatori irriducibili alla scoperta delle isole del Pacifico, da secoli hanno smesso di viaggiare e nessuno sa perché. Cresciuta tra il padre che sogna per lei una vita stanziale e una nonna che nutre la sua fantasia, Oceania ha deciso di prendere in mano il timone del proprio destino e di navigare in mare aperto, oltre la barriera corallina, limite imposto dal genitore. Il mondo intorno intanto sta misteriosamente morendo. Accompagnata da un galletto disfunzionale, investita paladina dall’Oceano e ‘assistita’ da un semidio egotico e naufragato, Oceania affronterà un viaggio epico per recuperare l’identità dei suoi avi e regalare al mondo una nuova primavera (www.trovacinema.it)
“Navigando in un décor a priori monotono, il film si svolge principalmente in mare aperto, John Musker e Ron Clements lo increspano, misurando la sua incommensurabilità e valendosi dei suoi movimenti per tradurre le emozioni dell’eroina. Disseminato di prove iniziatiche, l’oceano è un autentico personaggio, muto ma determinato. Come il tappeto volante di Aladdin è compagno fidato di Oceania e dona sovente alle scene un ammicco sapido e ‘refrigerante’. Malgrado le polemiche (esagerate) sollevate intorno alla ‘grossezza’ di Maui, personaggio della mitologia polinesiana rappresentato altrove erculeo e longilineo, Oceania celebra la cultura polinesiana, sublimandola e armonizzandola con la tradizione disneyana. Musker e Clements si sono recati nel Pacifico e avvalsi della collaborazione di archeologi, antropologi, linguisti, storici, pescatori, navigatori, artisti e tattoo masters locali, producendo insieme un universo coerente e rispettoso di costumi e leggende. Pescando nei classici Disney e in una struttura classica, improntata ai codici del buddy movie, la zattera di Oceania carica buon umore e strizza l’occhio a Frozen, da cui ricalca ‘duo’ e ‘duetti’, e a Hercules, da cui riprende la maniera di raccontare per disegni. Maui, disegnato a immagine e somiglianza di Dwayne Johnson, di cui converte la massa e l’atletismo, trova nel suo doppio tatuato sul petto una sorta di grillo parlante che prova a moderarne il carattere farfallone e prossimo al genio di Aladino. E su quel corpo inciso dalla vita Oceania legge il dolore, la gloria e la caduta di Maui, interpretandone la storia, riabilitandola e rilanciandola.
Perché questa nuova eroina Disney, che rifiuta l’etichetta di principessa per quella di “figlia del capo”, è maieutica. Oceania istruisce, sviluppa, dà credito, domanda, genera entusiasmo, fa con gli altri navigando sulla stessa barca e a livello del mare, spiega come si fa e impara come si fa, guarda al futuro e produce una nuova idea di futuro, rinunciando al bene transitorio per accompagnare una tartaruga al mare. Oceania non è una principessa, a dispetto del costume e l’animale sidekick, a dispetto di Maui che le rinfaccia la tradizione. È una giovane navigatrice che canta e col suo canto (“How Far I’ll Go”) fa esistere il mondo. Il nuovo mondo, su cui posa la sua conchiglia. Che prende l’onda e torna al mare, come lei.” (Marzia Gandolfi – mymovies.it)
È solo la fine del mondo: Adattato dalla omonima pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce, il film racconta il pomeriggio con la famiglia di un giovane scrittore che, dopo 12 anni di assenza, torna al suo villaggio natale per annunciare la sua morte imminente. (www.mymovies.it)
“Impianto teatrale che respira soltanto nella corsa in macchina dei due fratelli, È solo la fine del mondo si consuma intorno al tavolo e dentro le stanze. Sui volti, sugli sguardi e sui loro scambi scivola invece il dolore e il risentimento per il vuoto lasciato da quel figlio-fratello che un giorno è stato uno di loro. Nei primi piani, nei campi e nei controcampi, saturi di una necessità cinematografica, Dolan incrocia i pensieri ed emerge quello che i personaggi non riescono a dire nemmeno a se stessi. Le immagini sposano il ritmo delle frasi, delle intonazioni, dei colori, dei respiri, della luce che qualche volta si fa abbagliante, liberando torrenti di nostalgia e lasciando spazio alle tempeste della giovinezza, dell’amore, del sesso esploso nei flashback pop.
Addosso ai suoi incrollabili attori, su tutti Vincent Cassel, fratello maggiore collerico e frustrato che recita sulla brutalità di una sola nota, Dolan produce una drammaturgia di ritorno, fondata sulla retrospezione, che resta sterile sul piano dell’azione e lavora sulla semplice giustapposizione delle parti. Impossibile per Gaspard Ulliel, davanti alla famiglia, coro e tribunale insieme che attende la promessa di un domani condiviso, trovare la forza o anche solo il momento per prendere la parola.
Come nel primo Dolan, nessuno ascolta nessuno e tutti si parlano sopra sbraitando. Film greve a tutto volume, È solo la fine del mondo conserva qualche affettazione, l’uccello a cucù incarnato e stramazzato al suolo, ma testimonia soprattutto la maturità di un autore che riduce l’eccesso per afferrare l’anima nascosta di personaggi che abitano la dimensione irreparabile del già troppo tardi. Superato il confine il silenzio è l’unica soluzione. L’unica via d’uscita per Louis, figliol prodigo, e Xavier, enfant prodige, testimoni e narratori delle rispettive epopee intime di figli. Epopee nevrotiche che convertono l’ordinarietà della vita familiare in mito contemporaneo.” (Marzia Gandolfi – Mymovies.it)
Poveri ma Ricchi: La famiglia Tucci vive a Torresecca, paesino vicino a Zagarolo, e non ha mai conosciuto il benessere. Danilo, il padre, intreccia mozzarelle e sogna la Formula Uno; Loredana, la madre, è casalinga con l’ossessione della pulizia (perché “i germi s’ingrifano al tramonto”) e un talento speciale per i supplì; la figlia Tamara fa la cassiera al super e precede ogni sua opinione con “hashtag”; Marcello, lo zio, è un disoccupato cronico col diploma di perito agrario; Nicoletta, la nonna, passa le giornate davanti alla tv e ha una cotta per Gabriel Garko. Parrebbe la famiglia del Professore Matto se non ci fosse il piccolo Kevi (senza “n”), saggio ben oltre i suoi anni e incomprensibilmente acculturato, a salvare la reputazione del gruppo. Ma i Tucci si vogliono bene e nonostante i piccoli screzi quotidiani sono una famiglia unita, perciò quando vincono 100 milioni di euro alla lotteria la loro vita viene rivoluzionata (www.trovacinema.it)
“Basato su una commedia francese di grande successo, Les Tuche, Poveri ma ricchi è la decima regia di Fausto Brizzi e l’ennesima collaborazione alla sceneggiatura con Mario Martani. Questa volta però, complice la solida ossatura narrativa fornita dal copione francese, Brizzi e Martani hanno mano libera per fare ciò che riesce loro meglio: la sequela di battute che italianizzano la trama e rendono spassose le interazioni fra i Tucci.
Al fondo c’è la spocchia contro i provinciali della cintura romana, ma è una spocchia ben indirizzata a scopo comico e molto meno greve di quella, per citare un esempio recente, riservata ai villici del viterbese di Ogni maledetto Natale, ed è controbilanciata da una grande tenerezza nei confronti di questi scombinati animati da buone intenzioni e da un affetto palpabile (usiamo il termine non a caso). Quel che più conta, si ride tanto, a pioggia, ritrovando l’umorismo “etnico” della commedia all’italiana e trapiantandolo in una contemporaneità di cui si raccontano i limiti più che le lusinghe. Forse perché siamo tutti un po’ diventati come i Tucci, cioè privi di benessere ma desiderosi della nostra fetta di felicità, possiamo riconoscerci in loro e allo stesso tempo sorridere della loro naiveté.
Più di tutto funziona la squadra di attori comici italiani finalmente serviti da una trama degna di questo nome e da dialoghi veramente spiritosi e non del tutto scollati dalla realtà: dai cognati Christian De Sica ed Enrico Brignano all’ottima Lucia Ocone e la divina Anna Mazzamauro, dal mitico Bebo Storti allo spassoso Giobbe Covatta al commovente Ubaldo Pantani, maggiordomo che rimanda all’adorabile Coleman di Una poltrona per due.
Anche Poveri ma ricchi rischia di diventare un cult natalizio, ma all’italiana e in quota cinepanettone: un panettone ben lievitato e zeppo di canditi (o uvette, se i canditi non piacciono) che lascia un buon sapore in bocca.” (Paola Casella – mymovies.it)
Lion – La strada verso casa: Nel 1986, il piccolo Saroo di cinque anni, decide, una notte, di seguire il fratello più grande non lontano da casa, nel distretto indiano di Khandwa, per trasportare delle balle di fieno. Non resiste, però, al sonno e si risveglia solo e spaventato. Sale in cerca del fratello su un treno fermo, che parte, però, prima che lui riesca a scendere e percorre così 1600 chilometri, ritrovandosi a Calcutta, senza nessuna conoscenza de bengalese e nessun modo per poter spiegare da dove viene. Dopo una serie di peripezie, finisce in un orfanotrofio e viene adottato da una coppia australiana. Venticinque anni dopo, con l’aiuto di Google Earth e dei suoi ricordi d’infanzia, si mette alla ricerca della sua famiglia. (www.trovacinema.it)
“Lion è perciò un oggetto particolare, un film “da Oscar” che dei film “da Oscar” evita più o meno tutti i soliti difetti. Un grande narrazione a lieto fine, sì, ma nel quale il risarcimento emotivo non è completo e lascia dietro di sé e nello spettatore degli strascichi forse non contemplati; un film in cui le immancabili “rimonte” di sceneggiatura, tipiche del genere, sono gestite con eleganza non comune, senza che quasi che ne accorgiamo, e così il destino di Saroo è raccontato come una storia nella storia, quella di un cucchiaio immaginario che diventa un reale e anglofono “spoon” e del quale si deve liberare, tornando ad usare il naan, il pane indiano, come un cucchiaio, per poter tornare a toccare il proprio sé. L’India stessa, infine, non è quella povera ma colorata e pop di Danny Boyle, è più vera o per lo meno credibile: c’è infatti una ricerca di verosimiglianza, che si trova anche nell’estremo avvicinamento della coppia Nicole Kidman- David Whenam alla coppia vera della storia vera che ha ispirato il film, che non è francamente richiesta ad un prodotto di questo tipo, però fa la differenza.” (Marianna Cappi – mymovies.it)
Anche per la stagione 2016-2017 il Cinema Margherita propone la Tessera Acec Marche. La tessera costa € 5, permette di avere 5 ingressi ridotti, più uno in omaggio, ed è utilizzabile in tutte le Sale Acec Marche.
Ingressi: € 6,50 interi, € 5,00 ridotti
Ingresso universitari: € 4,00
Cinema Margherita
Via Cavour, 23
63064 Cupra Marittima (AP)Telefono: 0735 778983 / 340 7322062
Fax: 0735 777118
Email: info@cinemamargherita.com
© 2017, Press Too srl . Riproduzione riservata