Non solo parole…

 
SUICIDIO DELLA FIGLIA DEL BOSS: IL COGNOME LE HA SPEZZATO LA VITA
 
 
di Gaia Di Bonaventura e Matteo Di Girolamo dell’I.I.S. “A. Capriotti” *
 
 
San Benedetto del Tronto, 2017-04-14 – Si è uccisa perché non riusciva più a sopportare un cognome ingombrante. Un cognome sinonimo di estorsioni, usura, omicidi, donne uccise e sparite nel nulla. Maria Rita Logiudice apparteneva ad una famiglia mafiosa: il padre, come molti degli zii e dei cugini, è in carcere.
La giovane, per scrollarsi di dosso questo marchio indelebile, si era dedicato completamente allo studio, laureandosi con il massimo dei voti in Economia. Una ragazza che sembrava possedere tutto ciò che si possa desiderare: bellezza, intelligenza e ricchezza. Eppure voleva una vita diversa, normale, lontana dalla criminalità: “respirare mafia” fin dalla nascita l’aveva segnata.
C’è qualcuno che, per destino, si ritrova ad essere intriso di cultura mafiosa, perché cresce, suo malgrado, nell’ambiente della malavita. Il modo di reagire alla propria storia può essere diverso: chi si adagia, chi si ribella, chi fugge, chi combatte, chi parla, chi collabora con la giustizia, chi non vede l’alternativa e chi non vuole l’alternativa. Poi c’è chi decide che un peso così grande non lo vuole portare sulle proprie piccole spalle.
Forse Maria Rita ha creduto di potersi liberare da quel contesto di violenza e soprusi, così ha deciso di spezzare per sempre la catena che la teneva legata alla sua famiglia. La giovane è morta di isolamento: la sua voglia di cambiare si è scontrata con una dura realtà, quella di una società ancora chiusa e impaurita. Le parole del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, sono significative, a questo proposito: “Se noi diciamo ai ragazzi di cambiare vita e poi non siamo in grado di integrarli, sostenerli, il cambiamento che tutti auspichiamo non arriverà mai”.
Per tutelare le vittime della mafia, non bastano convegni e manifestazioni ovunque, ma occorre risvegliare la volontà di una vera opposizione alla cultura del crimine, che offra reali possibilità di riscatto. Solo in questo modo la storia di Maria Rita Logiudice racconterà e insegnerà qualcosa, lontano da tanta vuota retorica.

 
 
* I.I.S. “A. Capriotti” di San Benedetto del Tronto
 
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