“Maledetti”, l’originale omaggio alla musica degli Area di Merlin & Scrignoli

Intervista ai due chitarristi Enrico Merlin & Valerio Scrignoli
Un omaggio trasversale, originale, coraggioso: è quello racchiuso in “Maledetti”, disco realizzato da Enrico Merlin e Valerio Scrignoli partendo dalle composizioni degli Area, il mitico gruppo di Demetrio Stratos che negli anni Settanta ha travalicato generi e confini. Abbiamo rivolto alcune domande ai due chitarristi che si sono misurati con un repertorio rischioso realizzando un singolare e ipnotico dialogo tra chitarre.
 
 
Com’è nato il progetto di “Maledetti”?
Valerio: A stimolare questo progetto è stata la mia compagna, Viviana Bucci, che è stata amica di Gianni Sassi (discografico e autore di alcuni dei testi degli Area). Eravamo da poco andati ad ascoltare un concerto di Enrico Merlin a Milano. Non conoscevamo Enrico ma dopo quel concerto a lui abbiamo proposto di formare questo duo. Una delle esperienze più stimolanti della mia carriera di musicista. Con Enrico abbiamo subito stabilito un feeling pazzesco, condiviso una comune creatività che ci ha permesso di addentrarci nelle note degli Area con libertà e, oserei dire, leggerezza.
Enrico: Sì è così, e io ne sono stato molto onorato, anche se all’inizio ero un po’ preoccupato all’idea di affrontare musica tanto complicata e a cui ero legato sin dai miei ascolti adolescenziali.
Che tipo di rapporto avevate con la musica degli Area? Questo rapporto è cambiato dopo “Maledetti”?
Valerio: Sono rimasto folgorato dagli Area Festival del Proletariato Giovanile di Re Nudo al Parco Lambro nel 1974. Avevo 14 anni e i calzoni corti: mi ci portò mio padre, per mano. Da quel momento per me sono stati un mito che si rinnova ogni volta che li ascolto, anche dopo “Maledetti”.
Enrico: Il primo disco loro che ho sentito è stato proprio “Maledetti”. Mi travolse. Potente, sovversivo, ironico, non incasellabile in un genere definito. Io ero principalmente attratto dal jazz all’epoca, ma arrivavo dal progressive, quindi gli Area riassumevano il mio ideale del “fare musica”.
Il disco è tutto fuorché una raccolta di cover. I brani scelti sembrano più che altro dei pretesti per divagazioni musicali in assoluta libertà. Quanto è stato difficile trovare un punto di equilibrio tra il bisogno di prendervi tutta la libertà creativa di cui avevate bisogno e il rispetto per le composizioni degli Area?
Valerio: L’operazione concettuale di Maledetti è un omaggio che viaggia con la stessa libertà che avevano gli Area nelle loro esecuzioni. Questo è il modus che abbiamo replicato.
Enrico: Personalmente ho sempre odiato le repliche, il coveremmo, l’atteggiamento di sudditanza assoluta verso un modello. L’arte, in tutte le sue forme, si alimenta di stimoli, a volte anche solo di pretesti. La sfida con gli Area era quella di riuscire a trovare una chiave di lettura indipendente che potesse sovrapporsi a strutture musicali assai complesse e per certi versi molto ben delineate. Per omaggiare un grande innovatore non si può (anzi non si deve) riproporne la sua musica e basta. Bisogna entrare in intimità con il suo linguaggio e scrivere nuove poesie, nuovi racconti, nuovi romanzi… Altrimenti è solo un’altra forma di interpretazione di un testo dato.
Quali sono stati gli aspetti più complicati nel far dialogare le due chitarre?
Valerio: Nessuna complicazione. Già dalla prima prova che abbiamo fatto io e Enrico, abbiamo capito che il nostro interplay era perfetto per questo progetto.
Enrico: Valerio è un partner straordinario! Nessuna fatica. È il mio alter ego sonoro. Ci integriamo sempre senza nessuna fatica: Yin e Yang. Già al primo concerto ogni tanto scoppiavamo a ridere per ciò che accadeva imprevedibilmente.
E gli aspetti più interessanti?
Valerio: La capacità di entrambi di lanciarci stimoli e spunti mentre suoniamo. E la capacità di entrambi di raccoglierli con estrema libertà. Senza pensare troppo a chi lancia e chi raccoglie. L’importante è il risultato.
Enrico: Concordo pienamente anche in questo caso con Valerio. Spesso i duetti di chitarre si trasformano in duelli… Tristissimo e anacronistico. Oppure uno dei due ha una posizione prevalentemente di solista e l’altro di accompagnatore, ma nel nostro caso ci si muove in un continuo scambio dei ruoli. Infatti anche nel disco abbiamo accentuato questa interazione anche muovendo gli strumenti sul fronte stereofonico. Non è così importante chi faccia cosa, ma come il tutto abbia un senso nell’unità figlia della sovrapposizione delle parti.
Sono passate alcune settimane dall’uscita del disco. Che tipo di riscontri avete avuto finora?
Valerio: Qualche preoccupazione per un progetto – il primo – che si misura con dei giganti come gli Area ovviamente c’era. Ma devo dire che oggi siamo assolutamente soddisfatti dei riscontri di critica ma anche di pubblico. E’ un progetto tosto ma nei live che abbiamo eseguito fino ad ora abbiamo sempre riscontrato grande entusiasmo.
Enrico: Sì, un successo sperato, ma inaspettato. Pubblico e critica in gran parte ci amano. Ora basterebbe che anche i direttori artistici e i promoter si accorgessero che esistiamo e ci vogliono sentire in molti… (ride, ndr)!
Che tipo di feedback avete avuto dai fan degli Area?
Valerio: Quelli che sono venuti a sentirci pensando di riascoltare delle cover… ovviamente sono stati delusi. Chi invece ha saputo cogliere l’anima del nostro omaggio a questi grandi, chi ha saputo entrare nella nostra rilettura, si è dimostrato entusiasta.
Enrico: Forse i sostenitori più acerrimi (quelli meno aperti) del gruppo saranno sorpresi per alcune nostre scelte, ma come dicevi giustamente anche tu, non si tratta di un’interpretazione di ciò che già è noto. E questo era lo spirito anche degli Area più sperimentali. Loro stessi evitavano di ripetersi sera dopo sera, concerto dopo concerto. Questo però è secondo me il modo corretto di mettersi in una linea di continuità concettuale con la loro musica.
Oltre agli Area, ci sono nell’ambito del rock italiano altre formazioni che potrebbero stimolarvi altri progetti di questo tipo?
Valerio: Sicuramente ci sarebbero, però lo spessore della musica e del rivoluzionario (in tutti i sensi) progetto musicale degli Area è un esempio difficile da uguagliare.
Enrico: Non c’è dubbio che gli Area siano stati la band italiana più importante nel panorama internazionale, come anche da me sostenuto nel mio volume 1000 dischi per un secolo (ed. Il Saggiatore), ma un sogno nel cassetto a questo punto lo avrei… Una rivisitazione di Perigeo e Napoli Centrale ci starebbe da parte nostra, ma anche del repertorio di Orietta Berti… (ride, ndr). No, seriamente, forse sarebbe il caso di affrontare seriamente la musica di Secondo Casadei – quello è il nostro Blues, inutile girarci intorno. Oppure sul canto tenero, alle cui atmosfere e dinamiche mi sono appassionato negli ultimi anni.
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