Terremoto: ecatombe come per gli Indiani d’America?

 
di Raffaella Milandri
 
 
Ho avuto l’onore di passare del tempo con persone vittime del terremoto e ho avuto modo di guardare i loro occhi che, pur guardando la riva del mare, riflettevano invece i monti degli Appennini. E sono tante le emozioni che provo da quel lontano 24 agosto in poi. Innanzitutto, rispetto: di fronte alla dignità e al coraggio di chi ha perso tutto e, dopo oltre nove mesi dal primo terremoto, va avanti. Poi, affetto: per tante persone alle quali mancano il loro paese, la loro casa, le loro radici. Infine rabbia: per i mesi passati in attesa di notizie, per i mille momenti di speranza disillusa, per le ingiustizie, le false promesse, per l’abbandono delle istituzioni, per quella incertezza del futuro che il nostro mondo moderno, la nostra società vogliono negare, ma che invece incalza, snerva, dilania.
Chi sono i terremotati? Innanzitutto, brava gente. Perché qualunque cosa vogliate obiettare, chi vive nei paesi, chi vive in montagna, non ci vive per caso: ha un legame con le tradizioni, con il territorio, con il paesaggio, con l’aria stessa che ha respirato per anni. Ha un legame con i fiumi, con gli alberi, con gli animali, con quella luce che i monti rifraggono in maniera speciale. Ma dopo oltre nove mesi, i “terremotati” sono ancora lontani dai loro paesi, dalle loro case, sepolti ancora oggi sotto detriti e macerie, laddove giacciono le loro memorie, la loro vita, le loro cose. Praticamente deportati. Mi sorge la similitudine con gli Indiani d’America, popolo straordinario, deportato e rinchiuso in riserve per la cupidigia dell’Uomo Bianco. Pur se l’origine di tutto è una causa naturale, il terremoto, è solo per incuria, trascuratezza, e infine per denaro, che tante zone a rischio sismico non sono state soggette a una seria opera di prevenzione. Ed è ancora per denaro, che i problemi non sono ancora stati risolti. Quindi la cupidigia la considero una concausa alla origine, ma al tempo stesso la causa primaria del proseguire di questa immane tragedia. L’abbandono da parte delle istituzioni, il fatto di non vedere una soluzione, una via di uscita, causa depressione, disagio e infine suicidi. Proprio come per i Nativi Americani, là negli States. Una forma diversa, ma simile, di alienazione. Dove il governo americano riforniva le coperte e i viveri, nell’Ottocento, qua ci pensano le associazioni a fornire vestiario e aiuti, ancora dopo nove mesi. Dove, a causa di alienazione e deportazione, e discriminazione, i Nativi Americani si tolgono ancora oggi la vita, qua lo fanno le vittime del terremoto. E’ ormai un caso di diritti umani. Una vera ecatombe. Questa una lista di alcuni casi. (sotto link agli articoli originali) Notizia del 13 ottobre 2016: “Macerata, la sua edicola chiude per i danni del terremoto: trentunenne si suicida”. Notizia del 3 novembre 2016: “Terremoto, pensionato si uccide con il fucile. “Aveva perso tutto””. Notizia del 19 dicembre 2016: “Sfollato dopo il terremoto, 62enne si suicida impiccandosi ad una pianta”. Notizia del 31 gennaio 2017: “Luca lascia uscire la mamma e si uccide. Era sfollato per il sisma, aveva 49 anni”. Notizia del 27 febbraio 2017: “Terremoto, ad Amatrice suicida un muratore di 52 anni. Si è impiccato con cordino di acciaio”. Notizia del 22 maggio 2017: “Allevatore terremotato si suicida, aspettava la stalla nuova promessa dal Governo”. Notizia di tre giorni fa: “Si suicida in cantina; era uno sfollato del terremoto”.
Cosa stiamo aspettando? Cosa possiamo fare? Innanzitutto non farci distrarre dalla nostra quotidianità. Pensare ad aiutare. Non lasciare sole queste persone. Tirarci su le maniche. La generosità degli italiani è stata tanta, ma i problemi rimangono, perché la azione del governo è ancora lenta. Troppo lenta. La assegnazione delle prima casette crea rabbia e discriminazioni. Non si vede la luce. Non facciamoci distrarre dalle altre notizie. Preoccupiamoci per questi nostri fratelli, per questi nostri amici. Diamo un segnale che ci siamo.
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