Vittima di Stato: storia di un suicidio post-terremoto

 
di Raffaella Milandri
 

Non farò nomi, di persone né di luoghi. Per rispetto, per pudore, per la privacy. Userò nomi di fantasia. Odio lo sciacallaggio mediatico, sia da parte di chi fa di tutto per apparire sui media, sia di chi fa di tutto per scrivere un articolo sensazionalistico. Però questa storia la devo raccontare. La dovete sapere. Incontro Gina e Roberto casualmente, per motivi legati alla mia associazione Omnibus Omnes, che è impegnata a favore delle popolazioni terremotate. Gina e Roberto sono mamma e figlio, rimasti soli. L’uomo di casa, che chiamerò Mario, è stato vittima del terremoto. Ma attenzione: non direttamente del terremoto, ma degli effetti collaterali. Si è tolto la vita nel 2017, ha dovuto soccombere al disagio fisico e psicologico, alla disoccupazione, al vedere la beffa della propria casa incolume in zona rossa: una casa intatta ma intoccabile e inabitabile, circondata da macerie che oggi, dopo un anno, sono ancora lì. Mario qualche tempo dopo il terremoto ha avuto un crollo: “pensiero focalizzato su tematiche di rovina e di inutilità”. E’ stato sottoposto a terapie e a degenza di supporto psichiatrico. Poi è stato dimesso, e i medici hanno tranquillizzato Gina che Mario stava meglio. Ma nonostante le rassicurazioni, dopo poco tempo, il tragico gesto. Gina e Roberto oggi sono letteralmente devastati dal dolore. Un marito e un padre esemplare, un grande lavoratore. Che non ce la ha fatta a reggere alla burocrazia, al senso di impotenza, a stare ad aspettare quel conforto e quelle buone notizie: una casetta di legno, un lavoro, o la rimozione delle macerie per tornare a casa. Oggi, Gina oltre al dolore deve gestire il fatto che la sua casa sia ancora sommersa dalle macerie, che la assistenza psicologica tardi ad arrivare nonostante la chieda a gran voce, e infine, che non le sia stata assegnata la casetta SAE, e che quindi si trovi a vivere da mesi in un container infuocato di pochi metri quadrati. Gina e Roberto, di fronte a me, raccontano la loro storia e piangono dignitosamente ma con disperazione, stringendosi la mano. Hanno bisogno di aiuto. Gina vuole assistenza, e vorrebbe comprare una casetta, ma non ha abbastanza soldi. No, Mario non è una vittima del terremoto. E’ una vittima di Stato: che lo ha fatto sentire inutile, che lo ha fatto sentire invisibile. Dice Gina che i medici lo hanno dimesso con un pugno di psicofarmaci in mano: “Sta meglio. Non è un rischio per sé o per gli altri”. Ma la gestione di questo terremoto lo ha rosicato dentro, lasciandolo vuoto e inerme di fronte alle responsabilità che, lui, si sarebbe voluto prendere. Perché il post-terremoto, gestito così, uccide. Cosa possiamo fare noi? Intanto, parliamone. Pronti a indignarci: perché la indignazione è una delle poche armi che abbiamo.

 
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