Paul Auster “4 3 2 1”
Al giro di boa dei settant’anni, uno dei maggiori scrittori nordamericani viventi torna al romanzo e lo fa scandagliando il tema che l’ha ossessionato per tutta la carriera, quello dell’identità. In “4 3 2 1” Paul Auster concede al suo protagonista, Archie Ferguson, come lui nato nel 1947 nel New Jersey, addirittura quattro possibili percorsi esistenziali, alternativi e plausibili. Come si modificherebbero la nostra storia e la nostra personalità se in quel determinato momento della nostra vita avessimo deciso di attraversare quella sliding door invece di voltarle le spalle? Cosa saremmo diventati se quel giorno avessimo agito invece di aver lasciato perdere? Avremmo fatto lo stesso mestiere, avremmo avuto la stessa auto, la stessa casa, la stessa moglie se nella nostra infanzia non fosse successo quello che purtroppo è successo? A domande come queste Paul Auster cerca di rispondere sin dal suo primo apparire sul panorama letterario con “L’invenzione della solitudine”. Lui la chiama musica del caso e in “4 3 2 1” le concede una partitura orchestrale, con quattro diverse sinfonie che suonano autentiche come ogni vita che si rispetti. Archie subisce tragicomiche vicende familiari, gioca a baseball e a basket, scrive articoli sportivi, scrive racconti, diventa uno scrittore, oppure non fa niente di tutto questo, ma attraversa comunque gli anni Sessanta, si innamora di New York, del Greenwich Village, protesta, si batte per i diritti umani, contro la guerra in Vietnam. Soprattutto, si innamora di Amy Schneidermann in ognuna della quattro storie (in una delle quali Amy diventa addirittura la sua sorellastra): è l’amore per lei, per un’unica riconoscibile emancipata brillante figura femminile, la costante delle quattro avventure del giovane Archie, che si snodano in un romanzo fiume di quasi mille pagine, che rischiano di diventare le pagine definitive di un autore alla perenne ricerca della definizione dell’indefinibile percorso che ha portato ognuno a diventare l’uomo che è.
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