Come, quando e perché scrivere un libro – e se pubblicarlo
di Raffaella Milandri
Chi non ha un libro nel cassetto? Delle memorie di gioventù, una storia familiare, una storia di fantasia, delle poesie, un saggio sul proprio lavoro o magari su un personaggio amato, o sul proprio cane. E’ una grande ambizione per molti: il proprio nome in copertina. E scrivere un libro e magari stamparselo da soli, diventa un po’ come esibirsi al karaoke: ognuno ha una cerchia di amici, colleghi e parenti, che sono pronti ad applaudirti e a dire che sei bravo, sorvolando sulle stonature – o anche mentendo spudoratamente. Si conta sulla propaganda su facebook e su whatsapp, su instagram e twitter. Su presentazioni del libro nel bar sotto casa e al circolo del paese. Ma un libro, oltre a richiedere un serio impegno per scriverlo, e un argomento di interesse, richiede un impegno anche per chi lo legge: è ben più lungo di un messaggio su whatsapp e per leggerlo ci vuole dedizione, tempo e passione. Qualcuno viene incoraggiato ad auto pubblicarsi dagli amici, qualcuno da una agenzia letteraria a pagamento, altri, caparbiamente, solo da se stessi e dalle proprie convinzioni. Il mondo dei libri oggi è perverso: da un lato chiunque, pagando, può dare alle stampe un proprio libro. Dall’altro lato, le case editrici che padroneggiano il mercato e hanno una ampia distribuzione sono sempre di meno, e sempre meno disposte a valutare nuovi scritti, a meno che non siano su argomenti innovativi e originali, o di personaggi conosciuti o che abbiano “entrature” particolari. E così, molti si autofinanziano e poi distribuiscono, con presentazioni su presentazioni, il proprio libro. Per avere un po’ di gloria, per poter parlare di sé, per poter spiegare ad un pubblico i propri sentimenti, i propri pensieri e passioni. Ma non si nasce scrittori. E si rischia di finire nel pulviscolo fitto e confuso di migliaia e migliaia di piccoli autori sconosciuti. Scrivere un libro, revisionarlo, correggerlo e poi sottoporlo alla attenzione e valutazione di qualcuno è un lavoro gravoso, soprattutto di questi tempi in cui tutti credono di sapere tutto, e di saperlo fare meglio di te. Esiste però un piccolo segreto per prendere una buona strada. Innanzitutto, la autocritica sul proprio modo di scrivere. Molti sono capaci di scrivere solo mediocremente, e costoro farebbero meglio ad abbandonare questo sogno nel cassetto, salvo non siano davvero determinati a vedere la copertina col proprio nome sopra, di cui parlavamo prima. Ma se si hanno qualità discrete o magari eccellenti di scrittura, bisogna individuare il target di lettori del libro. Ovvero: non si può mai scrivere solo per sé stessi. Bisogna avere qualcosa da dare, da donare attraverso le pagine del proprio libro. E bisogna sapere di cosa si sta scrivendo, in termini di vita personale, o di studi e documentazione. Anche un romanzo ha bisogno di una solida ambientazione storica, geografica e culturale. I personaggi hanno bisogno di uno spessore che solo la esperienza può dare. Bisogna prima vivere e poi scrivere, per poter condividere con i lettori certe emozioni e sensazioni. E bisogna esser capaci di creare la sospensione della incredulità: convincere il lettore che quello che sta leggendo sia plausibile, foss’anche in un romanzo di fantascienza o horror. Un buon film riesce, grazie a voci, immagini e volti, a creare quel paio d’ore di distacco dal quotidiano. Per un buon libro, è più difficile. Perché il libro ha bisogno di tempo, di consequenzialità nella lettura, e non può permettersi di essere ripetitivo o noioso. Il lettore si annoia subito, e attratto dallo smartphone o dalla televisione, preferisce distrarsi con qualcosa di meno impegnativo. Pensa al tuo lettore immaginario: non un amico, un parente, ma un perfetto sconosciuto. Pensa che devi intrattenerlo per almeno 120 pagine raccontandogli cose che lo interessino e lo appassionino. Pensa che devi tenerlo sveglio, che lo devi coinvolgere nella tua storia al punto di non abbandonare il tuo libro a prendere polvere sul comodino alla prima occasione. E se son rose, fioriranno. I lettori saranno i primi a complimentarsi con te. E come diceva una barzelletta su un autore che va a presentare il suo libro a un editore: “Il mio libro è sulla storia di un uomo che si innamora di una donna che ama un altro uomo”; e l’editore risponde: “Ma non va bene, lo hanno già scritto, è uguale ai Promessi Sposi!”.
( ndr: Fabrizio Patriarca, “Tokyo Transit”: <<Scrivere un romanzo, anche uno pessimo, in qualche modo ti mangia la vita>>
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