Mam, Museo d’Arte sul Mare: la storia – 4

LE OPERE DEL MAM E LA LORO STORIA – 4
di Piernicola Cocchiaro
 
San Benedetto del Tronto, 2018-10-11 – Un nuovo post contenente le foto delle opere del MAM realizzate durante la quarta edizione di Scultura Viva, nel 1999 e la loro storia.
Le foto sono tratte dal catalogo del Festival dell’Arte sul Mare 2018, realizzato da Fabrizio Mariani, mentre la storia e’ tratta dal libro “Cercavo proprio te” di Piernicola Cocchiaro.

Scultura Viva 1999
L’anno della sfida
Verso le 14,00 di sabato 16 giugno, Nelson mi confermò per telefono l’arrivo di tutti gli artisti e così, più tardi, verso le 15,30 li raggiunsi in albergo per conoscerli, illustrare il programma dei lavori, leggere il decalogo organizzativo e infine consegnare loro il catalogo fresco di stampa. Subito dopo, come ogni anno, ci recammo insieme alla Palazzina Azzurra, dove ci aspettava Fabrizio che ci avrebbe aiutato ad allestire la mostra delle loro opere e poi, intorno alle 17,30, ci recammo tutti al molo sud per vedere il posto dove si sarebbe svolto il simposio e scegliere i blocchi di travertino da scolpire.
Ormai avevo smesso da tre anni di far venire gli artisti il mese prima della manifestazione per prendere visione di persona del posto. Lo avevo fatto solo il primo anno, ma la cosa oltre ad essere stata costosa fu anche complessa per il fatto che gli artisti che risiedevano in città distanti da San Benedetto, fecero fatica a venir giù per un giorno e ricordo infatti che Yoshin Ogata che abitava a Carrara, evitò l’incontro. Così, negli anni seguenti preferii accompagnarli al molo sud il giorno stesso del loro arrivo, nel pomeriggio, dopo aver allestito la mostra alla Palazzina.
Quella era la quarta edizione di “Scultura Viva” e questo era già sufficiente per garantire agli artisti la qualità del simposio. Quell’anno Carlo invitò cinque italiani e tre stranieri, dei quali due donne. Una era giapponese e si chiamava Michiko Nokamichi, mentre l’altra che si chiamava Silvia Salgado veniva dalla Colombia. Il terzo straniero era coreano e si chiamava Park Eun Sang. Fu anche l’anno in cui parteciparono quattro scultrici su otto artisti invitati e questo fu apprezzato molto dal pubblico femminile.
Devo dire che tutte le opere realizzate quell’anno furono originali e di buona qualità artistica. Paolo Tosti, svuotò la parte superiore centrale del blocco che aveva scelto, lasciando tutt’intorno un bordo alto una trentina di centimetri forato da grandi aperture rettangolari. Silvia Salgado raccontò in maniera geometrica il punto di incontro tra un’onda e il mare e un’ispirazione simile l’ebbe anche Julia Donata Carraro che realizzò “Geometria del mare”. Pasquale Liberatore, professore dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila realizzò una serie di volti, verticali e orizzontali su due blocchi adiacenti, Oriana Impei invece scavò il suo grande blocco che guidava lo sguardo del visitatore “Oltre il confine”, Santo Ciconte incantò il pubblico con il suo villaggio surreale costruito nella pietra, senza immaginare che la sua opera sarebbe stata una delle più fotografate di tutte le edizioni di Scultura Viva. Park Eun Sang scolpì una storia che iniziava in un viale alberato, sulla parte bassa del blocco e raggiungeva una casetta che svettava in alto sulla sua destra con vicino un sole che tramontava e infine, Michiko Nokamichi creò una bacheca rettangolare al centro del blocco, il cui vetro, fissato a silicone, proteggeva una delicatissima composizione scultorea, fatta di bastoncini colorati infilati in un pezzo oblungo di marmo bianco, appoggiato su due bassi cilindri dello stesso materiale che gli facevano da base.
L’unico lato negativo del simposio di quell’anno fu purtroppo il vandalismo. I vandali furono impietosi e colpirono proprio queste due ultime sculture, accanendosi con quella della giapponese. Non ricordo esattamente quale delle due fosse stata vandalizzata per prima, ma ricordo benissimo che dalla scultura del coreano asportarono l’intera casetta e che dopo aver sfondato con una mazza, il vetro a due strati che proteggeva la bacheca dell’artista giapponese, asportarono anche la composizione scultorea in essa contenuta.
Non ho mai capito se quei due atti furono opera di più vandali o se invece furono opera di un unico maniaco seriale che a modo suo si divertiva a lasciare la sua coraggiosa firma e godeva leggendosi il giorno dopo sui giornali. Anche negli anni successivi, si ripeterono gli atti vandalici e, non so perchè, ebbi sempre più la sensazione che fosse sempre la stessa mano a rompere le opere del molo sud.
L’artista giapponese, come quasi tutti gli scultori giapponesi, fortunatamente viveva nella zona di Carrara e fu facile contattarla per informarla dell’accaduto. Anche se molto dispiaciuta, si offrì comunque di tornare a San Benedetto per posizionare nella bacheca un’altra composizione, dello stesso stile di quella rubata, ma inevitabilmente differente.
L’altra “Armonia”, così si chiamava la scultura trafugata, fu riposizionata nella bacheca ed io sostituii il vetro a due strati sfondato a mazzate, con una lastra di un nuovo materiale acrilico trasparente assolutamente indistruttibile, che mi fu offerta dalla ditta Tecnoforniture di Porto d’Ascoli, fissandolo alla pietra con una cornice in acciao. Dopodichè con la punta di un trapano, consumai tutte le teste delle viti che fissavano la cornice al travertino per evitare che venisse smontata.
L’opera riprese vita, ma già alcuni giorni dopo, recandomi sul molo, mi accorsi che la nuova lastra che proteggeva la scultura di Michiko, era stata di nuovo presa a mazzate, come dimostravano i graffi evidenti sulla sua superficie, ma era rimasta comunque integra. Praticamente si era aperta una sfida a distanza tra me, che sulla stampa avevo definito imbecille il vandalo e l’imbecille stesso che forse non mi aveva perdonato il fatto di averlo chiamato per nome.
Evidentemente lo scarso risultato che aveva ottenuto con la mazza lo irritò ed allora l’imbecille, che spero ci stia leggendo, ricorse ad una bomboletta spray di vernice nera con la quale coprì completamente la lastra acrilica. Con grande pazienza la vernice fu rimossa, anche se comunque una parte della lastra rimase opaca in alcuni punti a causa della corrosione chimica. Quell’opacità forse diede l’idea all’imbecille per dare il colpo finale. Infatti riuscì ad opacizzare tutto il resto della lastra con qualche prodotto corrosivo e così di fronte a questo dovetti abbassare le braccia ed abbandonare la sfida. Aveva vinto lui, qualche volta purtroppo, nella vita succede che anche gli imbecilli vincono, ma poi, il problema loro è che non sanno cosa farsene della vittoria ottenuta perchè non possono nemmeno esultare.
Ancora oggi, l’opera con la quale Michiko sostituì l’originale rubata, è coperta dalla lastra di color marrone che la nasconde, ma fortunatamente, rimangono le foto di quella originale, le foto della prima “Armonia”, che è godibile sul catalogo del simposio tra i lavori delle passate edizioni e sicuramente anche nella memoria di quelle tantissime persone che l’hanno potuta vedere nel suo splendore per diverse settimane. Continua
MAM, Museo d’Arte sul Mare
 
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