Mam, Museo d’Arte sul Mare: la storia – 15
LE OPERE DEL MAM E LA LORO STORIA – 15
di Piernicola Cocchiaro
San Benedetto del Tronto, 2019-01-03 – Un nuovo post con le foto delle opere del MAM realizzate durante la quindicesima edizione di “Scultura Viva”, nel 2011 e la loro storia.
Le foto sono tratte dal catalogo del Festival dell’Arte sul Mare 2018, realizzato da Fabrizio Mariani, mentre la storia e’ tratta dal libro “Cercavo proprio te” di Piernicola Cocchiaro.
Scultura Viva 2011
La conferma del sindaco e la Koinè dell’Adriatico
Il 2011 fu l’anno della rielezione a sindaco di Giovanni Gaspari. Io personalmente ne fui felice, perchè fu proprio lui che quattro anni prima fece rinascere alla grande Scultura Viva, dopo che per un anno non si tenne a causa del commissariamento del Comune. Anche Margherita Sorge già Assessore alla Cultura durante il primo mandato di Gaspari, fu rieletta a pieni voti ed oltre a mantenere il precedente incarico acquisì altri due assessorati, tra cui quello al Turismo.
Questo significava che Scultura Viva poteva continuare a vivere senza problemi per almeno i prossimi cinque anni, anche se da qualche anno, lo Stato stava progressivamente diminuendo i fondi che dava al Comune, costringendolo ogni anno a fare un difficile lavoro di riprogrammazione del bilancio.
Il tema di Scultura Viva di quell’anno fu la koinè, parola greca che vuole indicare la comunione di ideali e di interessi condivisi da culture e popoli diversi appartenenti alla stessa area. L’idea di fondo mi fu ispirata da alcuni articoli sull’argomento, che portavano la firma di Renato Novelli, stimato professore sambenedettese molto conosciuto per il suo passato politico e per essere stato assessore alla cultura di San Benedetto. Leggendo i suoi articoli mi venne in mente di organizzare una koinè artistica dell’Adriatico, coinvolgendo i paesi e le regioni italiane che si affacciavano su di esso.
Così, mi misi alla ricerca, in internet, di scultori dell’Albania, del Montenegro, della Croazia, per la costa est e della Puglia, dell’Abruzzo, delle Marche ed dell’Emilia e Romagna per la costa ovest. A dire il vero, lo scultore croato mi fu indicato da un impiegato del Comune di San Benedetto che aveva un amico di origini sambenedettesi che viveva in Croazia e che lo conosceva personalmente, ma per il resto del gruppo mi affidai al mio istinto, ai curriculum e alle foto delle opere degli artisti che avevo scovato in internet.
Oltre al lato artistico del simposio, pensai anche al lato prettamente culturale ed organizzai un convegno sull’argomento della koinè adriatica, con la partecipazione del Prof. Renato Novelli in qualità di esperto della koinè, dello storico Gabriele Cavezzi in qualità di esperto dei rapporti commerciali intercorsi nei secoli tra le due sponde dell’Adriatico e dell’Onorevole Pietro Paolo Menzietti in qualità di esperto della pesca.
Non mi accontentai tuttavia di organizzare solo il convegno, come evento culturale collaterale al simposio, volli esagerare e così mi venne in mente l’idea di organizzare anche una mostra di pittura che fosse in qualche modo legata al tema del simposio . Coinvolsi così, ancora una volta, Gualtiero Mocenni e suo figlio Simone che oltre ad essere scultori, sono entrambi affermati pittori ed inoltre hanno un continuo e costante rapporto artistico e professionale con l’Istria e soprattutto con Pola, in cui è nato Gualtiero quando la città era ancora italiana.
Pensai al fatto che avrebbero potuto fare una mostra delle loro opere pittoriche nella stessa sala del Palazzo Piacentini che avrebbe ospitato il convegno sulla koinè adriatica e inoltre avrebbero potuto parlare durante il convegno della loro esperienza istriana.
I due Mocenni furono veramente entusiasti di tornare a San Benedetto ed io lo fui più di loro, soprattutto perché la loro partecipazione al simposio, chiuse alla grande, il cerchio del suo aspetto culturale che fu sostanzialmente la principale caratteristica dell’edizione di quell’anno.
Anche da un punto di vista scultoreo quell’edizione fu molto interessante e divertente. Interessante per il carattere delle opere che furono realizzate, come “Il trono di nessuno” di Valentino Giampaoli, “Porta d’Oriente” di Stefania Palumbo e “Il canto della sirena” di Franco Daga e divertente per la forte personalità di quest’ultimo che contagiò il pubblico ed il resto degli artisti.
Quello che mi colpì di Franco, quando qualche mese prima mi misi alla ricerca in internet di uno scultore emiliano romagnolo, furono le sue grandi sculture monumentali, soprattutto le cariatidi e maggiormente il fatto che lui amava girare il mondo, partecipare ai simposi ed interfacciarsi con il pubblico, piuttosto che chiudersi a lavorare nel suo studio di Cervia.
Ero sicuro che avrebbe fatto una bellissima scultura, ma non avevo immaginato minimamente che avrei avuto a che fare con una delle persone più estrose che avessi mai conosciuto. Diventammo subito amici e anche Peppino, che da ormai quattro anni mi aiutava sul campo, nell’organizzazione della settimana artistica, legò immediatamente con lui.
Franco aveva una certa età, ma il suo spirito era quello di un ragazzino ed era facile vederlo cantare o scherzare mentre lavorava. Anche Peppino amava scherzare e spesso, i due, anche se a distanza, si ritrovavano complici dello stesso scherzo senza volerlo. Una delle principali performance di Peppino era infatti quella di far impazzire i cani che passavano lungo il molo al guinzaglio dei loro padroni.
Mentre lavorava e senza farsi vedere, Peppino iniziava a fare l’imitazione di un cane che si lamentava fino ad emettere un suono simile ad un debole fischio. Il cane che stava passando impazziva letteralmente, alzava di scatto la testa, per poi girarla quà e là cercando di capire da dove venisse quel lamento e infine iniziava ad abbaiare istericamente senza sapere a cosa.
Franco da parte sua, aveva, diciamo così, il vizio di mettersi ad abbaiare “per riflesso”, ogni volta che sentiva abbaiare un cane, senza smettere di lavorare e senza guardare da dove venisse il suono. Così ogni volta era una scena incredibile, con Peppino che continuava a fare il lamento, il cane che passava che si metteva ad abbaiare e Franco che lo seguiva a ruota abbaiando anch’egli a distanza. La cosa era così divertente che anche il padrone del cane dopo una certa iniziale perplessità, si metteva a ridere insieme al resto degli artisti che stavano lavorando.
Oltre alla sirena di Franco, che fu senz’altro una delle opere più ammirate dal pubblico, anche la scultura a forma di sedile di Valentino Giampaoli sucitò molto apprezzamento e Valentino fu veramente molto contento di spiegare il concetto del titolo “Trono di nessuno”, ai tanti capannelli di persone che ripetutamente si alternavano, mentre lavorava, in prossimità della sua scultura.
Quando ci salutammo con Franco Daga, al termine del simposio, sentii dentro di me la stessa cosa che provai quando salutai per la prima volta Gualtiero Mocenni nel 2007 e anche quella volta, non so perché, ebbi la sensazione che ci saremmo rivisti presto.
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